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 2018  luglio 01 Domenica calendario

Baruchello, Mr. Zero

Inizia con la luce e il profumo di fiori che crescono nell’installazione dell’ultimo piano per terminare con il buio delle sale di proiezione e il fumo del sigaro di Marcel Duchamp la grande mostra di Gianfranco Baruchello al Mart di Rovereto. In mezzo un percorso che slitta fra massimi sistemi etici, politici, e intime riflessioni e confessioni. È un percorso meticoloso, minuzioso, intrigante che si sviluppa in un’infinità di rimandi e riferimenti alla politica, alla cultura, al sogno, all’inconscio, al mondo del possibile, al desiderio e al futuro. Un futuro paradossalmente immaginato e archiviato in alcuni dei suoi lavori più conosciuti come biblioteche e archivi in miniatura incastonati in teche di legno e vetro. In questa mostra, a cura di Gianfranco Maraniello, con la Fondazione Baruchello e Carla Subrizi, moglie, musa, storica dell’arte e teorica dell’artista, trecento opere, fra dipinti, installazioni, film, e duecento disegni di cui molti inediti, ripercorrono l’intera vita di quest’artista nato a Livorno nel 1924, laureato in legge e avviato a una brillante carriera aziendale, che lascia tutto per scappare a Parigi, e da lì a New York. In Francia conosce Sebastian Matta e Alain Jouffroy, nel 1962 a Manhattan incontra Marcel Duchamp, riferimento fondamentale per lui, e poi condivide il contesto di Fluxus, e di John Cage. Al ritorno in Europa conosce i situazionisti, la psicogeografia. Studia Wittgenstein, la filosofia del linguaggio, divora i libri di Jean Bachelard e Jean Francoise Lyotard, il suo lavoro è una critica radicale alle strutture codificate siano esse politiche o culturali, visive o linguistiche. La sua attitudine è quella di decostruire per ricostruire.

Sistematicamente attratto dall’azzeramento, dalla riduzione del linguaggio, sia esso disegno, pittura, film, scrittura, narrativa, Baruchello analizza, studia, ricerca, approfondisce fin dove arriva il pensiero e la materia e oltre, cerca di superare il confine del possibile per testare potenzialità non ancora immaginate.
La mostra al Mart di Rovereto accompagna il visitatore in questo percorso verso il grado zero, e quello che c’è dopo, dolcemente, quasi come in una fiaba, che, fin dall’inizio, dall’installazione di fiori intitolata Piante Velenose. Pericolo! svela il suo potenziale sovversivo. Sovversivo è il grande dipinto bianco del 1963 Lo zero di Gödel,
che campeggia nella potente sala di dipinti e disegni bianchi. Da lontano sembra completamente bianco, ma da vicino si scorge un universo di minuscoli segni, disegni, scritte. Qui la narrazione scivola fra immagini oniriche e storie concrete, ma soprattutto si focalizza sul vuoto, ovvero il luogo dove può affiorare l’impensabile, l’indicibile, il luogo di tutto il possibile. Qui la pittura supera il confine del quadro, della tela, diventa lo spazio esemplare di un progetto immaginario. Nelle stratificazioni di bianco, caseina, acrilico, smalto, ci sono tracce, ricordi, desideri. A quell’epoca Fontana tagliava la tela. Baruchello l’annienta nel bianco. Da questa sala in poi si procede all’annientamento della narrazione che si perde nel sogno come disubbidienza sociale, nell’antinarrativa come nel libro-oggetto La quindicesima riga (Lerici, 1967), scritto appropriandosi delle quindicesime righe della prima pagina di diversi libri. Frammenti, appropriazioni, decostruzioni, sono questi gli strumenti impugnati da Baruchello contro la cultura borghese e ogni struttura ad essa connessa. È su questa linea che si sviluppano i lavori degli anni Sessanta e Settanta in mostra: della grande produzione di film come il Grado zero del paesaggio, (1963), e Filming Marcel Duchamp (1964) alle opere contemporanee.
L’intera mostra slitta fra macroscopico e microscopico, fra opere ambientali come Il fiume (1982), costituito da ben dieci tavole affiancate l’una all’altra, a costellazioni di segni e disegni minuscoli. Guardare le opere di Baruchello “è come osservare il cielo con un telescopio o una cellula con un microscopio”, ha scritto Tommaso Trini nel 1975. Ma l’artista guarda anche a sé stesso: l’ultima opera di questa mostra, realizzata per il Mart,

ovvero l’autoritratto dell’io fragile, è un’installazione fra cinema, politica e psicanalisi che spinge all’azzeramento persino la sua identità. Qui Baruchello mette in mostra la sua vecchia artiflex con cui ha girato il
Grado zero del paesaggio,
valigie aperte con oggetti personali che sembrano grumi di memoria, libri bianchi, spazi vuoti della scrittura e del pensiero, un cappotto nazista della Seconda guerra mondiale, un passato da dimenticare ma che ancora incombe. Al centro dell’installazione un letto e dietro una sedia vuota. L’io fragile di Baruchello.
E, forse, di ognuno di noi.