Corriere della Sera, 1 luglio 2018
«All’Italia servono più moschee con sermoni anche in italiano Pronti i soldi, lo Stato ci ascolti». Intervista a Mohammad Al Issa
«Shelter, rifugi... e aiuti, quello che volete. Soldi. Siamo pronti a mettere molti soldi, un supporto diretto al governo italiano sull’immigrazione. Ma non siamo riusciti a dirlo al vostro ministro degli Esteri. Capisce?».
Nella suite dell’Hotel Cavalieri tuffata sui pini di Roma, Mohammad Al Issa vuole apparire molto conciliante ma anche un po’ sdegnato, e si accerta che il traduttore lo comunichi. Da due anni segretario generale della Lega musulmana mondiale, già giurista del consiglio degli ulema e ministro della Giustizia di re Abdullah in un primo timido tentativo di scongelare il regno saudita, Al Issa è adesso la voce che il giovane principe Bin Salman ha deciso di fare ascoltare a noi occidentali per convincerci delle sue modernizzazioni e divulgare un messaggio di tolleranza religiosa e lotta al terrorismo (lo scorso settembre ha ripetuto questi concetti nell’incontro con papa Francesco). La Lega musulmana, col suo controllo su moschee e centri islamici del mondo sunnita, è vista spesso con sospetto, come guardiana contro il secolarismo, braccio operativo del wahabismo di Riyad. Così Al Issa ripete che «molte cose sono mutate» da quando lui è segretario generale.
Cinema aperti, donne al volante: cosa c’è dietro questi cambiamenti?
«Capire l’Islam, correttamente. Il cinema non è diverso da guardare la tv o vedere YouTube sul computer, è solo usare un altro monitor! Impedire la guida alle donne non ha nulla a che fare con la religione, era solo un modello della società passata su cui alcuni ulema avevano messo il coperchio. La donna per me può anche viaggiare da sola all’estero... ma è una mia opinione».
Ma proprio mentre permettete alle donne di guidare, incarcerate 17 attiviste dei diritti femminili, tra cui la professoressa Hatoon al-Fassi, e vari oppositori. Quale faccia è quella vera?
«Io non sono il giudice di quell’arresto».
Ma lei è stato ministro della Giustizia.
«Se lo fossi ancora le risponderei. Ma un magistrato potrebbe farmi causa (ride, ndr). Io rispetto le competenze, non basta il sentito dire, spesso ci sono cose non alla nostra portata».
Non le chiedo una sentenza ma un’opinione politica.
«Sono stato giudice per 30 anni, non posso rispondere se non ho elementi».
Veniamo alla questione centrale dei migranti...
«Noi abbiamo una proposta per l’Italia, sull’integrazione; bisogna capire il background di queste persone, abbiamo studi, informazioni. E possiamo lavorare insieme. L’Italia soffre più degli altri Paesi. Noi vogliamo supportare a 360 gradi il vostro governo, abbiamo un’organizzazione mondiale per farlo e soldi da offrirvi. Danaro che esce direttamente dai fondi della Lega musulmana mondiale».
E avete preso contatto col nostro governo?
«Dieci giorni fa dai nostri uffici romani abbiamo chiesto con una nota diplomatica un incontro per me col vostro ministro degli Esteri. Ma ci hanno detto che il ministro non era disponibile e potevo vedere un suo vice. Ognuno è benvenuto per me a livello amichevole, ma il protocollo della Lega musulmana non mi permette di incontrare un livello più basso in via ufficiale. E io sto ripartendo per Riyad».
Possiamo immaginare le perplessità del nostro governo. Il tema è assai complesso. Le democrazie europee vacillano intanto sotto le ondate migratorie. Lei pensa che tra i migranti possano nascondersi terroristi?
«Penso di sì, è possibile. Ma si possono scoprire. Il terrorista ha un modo di fare diverso, anormale».
Non sempre, a prima vista. Che cosa lo distingue?
«Ha un’agenda insana, senza etica. La prevenzione è molto importante. Ma è anche importante non perseguitare innocenti, persone di pace, questo può portare simpatie ai terroristi».
Parliamo di terroristi islamici.
«Falsamente descritti come islamici».
Loro si ritengono islamici a tutti gli effetti.
«Ognuno di questi criminali può descriversi come gli pare. Sono estremisti religiosi. Il Papa mi ha detto che anche i cattolici hanno avuto estremisti».
Lei descriverebbe Mohammed Atta, l’attentatore delle Torri, come un estremista?
«No, come un terrorista. Ma l’estremismo può portare al terrorismo».
Salafismo e terrorismo non sono legati, secondo lei?
«No. Il salafismo ha un principio: il rispetto per le decisioni dei capi del loro Stato anche se sono in disaccordo. L’ho detto anche a Bruxelles: i musulmani devono obbedire alle leggi dello Stato dove vivono, ricordando che quello Stato ha aperto loro le braccia».
Voi applicate la pena di morte...
«Chi uccide va sradicato».
Anche gli apostati, che non uccidono nessuno?
«Parli col magistrato, io rispetto i miei limiti».
Osama era wahabita, come Al Zawahiri, gli shabaab somali, Boko Haram... una certa diffidenza non è comprensibile in Occidente?
«Osama non era wahabita, se fosse stato wahabita sarebbe andato contro i nostri studiosi. Lo stesso vale per Al Baghdadi: un wahabita non può trasgredire le leggi, lui ha preso il libro di Al Wahhab e ha detto “sta nel mio sistema sociale”, ma non è vero. Noi lo abbiamo contrastato anche con una caricatura sul nostro website (ride e mi mostra una vignetta con un boia incappucciato che con una scure fa a brandelli un libro, ndr)».
Lei è wahabita?
«Io sono contrario a queste denominazioni: wahabita, salafita... Io sono con il puro Islam».
Nel puro Islam c’è il velo femminile?
«L’hijab è un obbligo religioso, la donna di nobile educazione non vuole turbare gli altri. Ma trasgredirlo non implica non essere musulmani».
Il Corano, Sura 4, Al Nisa, pone l’uomo al di sopra della donna «per la preferenza accordatagli da Allah»... lei si sente superiore?
«Il Corano non dice che siamo superiori, ma che dobbiamo proteggere le donne, provvedere alle spese di casa, siamo come dei... bodyguard».
A casa mia è sentirsi superiore.
«Lo vede dall’angolo sbagliato: questo è un privilegio per le donne. Ma la donna che dicesse “penso io a tutto” sarebbe una gran donna. Bacerei le mani a mia moglie se provvedesse alle spese di casa (ride, ndr)».
Voi controllate la Grande Moschea di Roma.
«In passato. Io ho una visione diversa. Non faccio il “supervisor” delle moschee. E una piattaforma Twitter ha più effetto di una moschea».
In Italia abbiamo solo sei moschee regolari e moltissime irregolari.
«Bisognerebbe costruirne di più, sì, con sermoni in arabo e italiano».
Il nostro nuovo ministro degli Interni, Matteo Salvini, non è d’accordo.
«Questo può spingere al radicalismo, creare un gap nell’armonia nazionale. Noi vogliamo la piena integrazione dei musulmani in Italia. Vogliamo che i bambini musulmani vadano alla vostra scuola pubblica, se uno vuole formarsi una cultura religiosa può farlo poi privatamente. Siamo contro l’isolamento delle nostre comunità. Voi non dovete rischiare di trasformarvi in una società chiusa e senza diversità».
Curioso pulpito. Voi usate la «taqiyya», l’inganno e la dissimulazione nell’interesse dell’Islam?
«Noi sunniti non la usiamo, la usano gli sciiti, fa parte del loro modello ideologico. Mi creda, i musulmani che io rappresento sono sinceramente fieri di stare in Italia. Siete stati straordinari nell’accoglienza dei migranti. Sentiamo la responsabilità di partecipare a questa impresa».