La Stampa, 1 luglio 2018
Moro, il migliore della Prima Repubblica. Che intuizione l’apertura alla sinistra. Intervista a Toni Negri
Verso il 7 aprile. Si avvicina (2019) il quarantennale dalla retata che ingabbiò a Padova Autonomia Operaia, in ossequio al teorema Calogero. A svettare, un inquisito, Toni Negri, imputato di vari, gravi reati: l’insurrezione armata contro lo Stato come l’assassinio di Moro. Una vicenda giudiziaria che, di accusa caduta in accusa confermata, approdò a una condanna a 17 anni di carcere, di cui 11 e mezzo realmente scontati, tra indulto generale e buona condotta.
Che cosa resta di Toni Negri oggi? Ciò che dissero di lui, per cominciare. Un «cattivo maestro», che Montanelli avrebbe voluto vedere impiccato. Il «professore terrorista» secondo il verdetto inappellabile di Giorgio Bocca. Un «mestatore», per Enzo Biagi. Il Grande Vecchio, a dar retta ai tam tam dietrologici. Un ritratto vetrioleggiante, a più voci, a cui Toni Negri (Padova, 1933), già docente di Dottrina dello Stato, autore di Impero, oppone il suo autoritratto, editore Ponte alle Grazie. Dopo Storia di un comunista, ecco Galera ed esilio (a cura di Girolamo De Michele).
«Storia di un comunista». Quale comunista?
«Considero il capitalismo una malattia della civiltà. Le lotte operaie sono il meglio dell’umanità, tra valori, bisogni, speranze. Il comunismo e il 900, due pagine in assoluto: la rivoluzione sovietica e la battaglia di Stalingrado, che arginò il nazifascismo».
Non dimenticando le pagine orride, come i gulag.
«Va da sé. Rosa Luxemburg non fu tra i primi critici del potere bolscevico?».
Riesce ad immaginare una società comunista?
«Non sono un romantico. Preferisco la praxis. Revolution si intitolerà il mio nuovo libro. Sono certo che la più grande crisi scoppierà nel Paese per eccellenza del capitalismo, gli Stati Uniti. E tutto potrà essere».
Aspettando il comunismo, dilagano sovranismi e populismi.
«L’Italia. Salvini non rappresenta, almeno per ora, gli interessi economici reali di una borghesia atterrita, spaventata, dal comunismo – risaliamo a inizio 900, evochiamo una figura quale il Duce – o da che altro».
E i 5 Stelle?
«Sono la falsificazione di istanze di sinistra non organizzate, dalle rivendicazioni anticasta a quelle ambientaliste. Il tutto sub specie piattaforma Rousseau».
I 5 Stelle proclamano il reddito di cittadinanza. Non lo caldeggiava già il «suo» Potere Operaio?
«Il reddito secondo i 5 Stelle è una misura assistenziale o di Workfare (disciplina del lavoro). Per me è un diritto di ogni cittadino. Tale universalità rispecchia la forma in cui si sviluppa oggi la ricchezza: cooperazione sociale del lavoro cognitivo, relazioni di servizio, ricerca...».
Sovranismi e populismi oltre l’Italia. Condizioneranno inesorabilmente il destino dell’Europa?
«È la mia impressione. Solo una vera trasformazione federalista dell’Unione permetterà di unire e di riprendere lo sviluppo – oltre a produrre valori di convivenza in un mondo nel caos».
Caos di oggi, caos di ieri. Quarant’anni fa l’assassinio di Moro.
«Il politico migliore della Prima Repubblica. La sua intuizione: l’apertura a sinistra».
Dov’era il Pci di Berlinguer...
«Spentosi il faro della Piazza Rossa, la partita si giocava in Occidente. Berlinguer commise un madornale errore: cambiare missione al Partito comunista. Dalla lotta di classe alla lotta morale. Di qui l’era di Mani Pulite. Il trionfo del morbo giustizialista, la trincea di una certa Repubblica».
Mezzo secolo fa il Sessantotto...
«Il 68 italiano ha una matrice operaista. Gli studenti si proiettano verso le fabbriche, il pensiero si forgia nelle officine. Il nostro 68 è il ’77. La fantasia, l’immaginazione al potere, la comunità gioiosa e offensiva».
Il ’77. Il Movimento a Bologna. Al convegno «contro la repressione» partecipò un intellettuale borghese come Casalegno, animato dalla volontà di capire, I terroristi lo uccideranno di lì a poco...
«L’omicidio Casalegno: una sciagura, un’indecenza. Ma Casalegno era uno. La sua onestà intellettuale, la sua urgenza di capire non era di altri giornalisti».
Quel convegno contro «la repressione». Un allarme da Casalegno non condiviso. Scrisse, riferendosi al grido d’allarme, per esempio, di Guattari: «Il filosofo Guattari ha superato in comicità Dario Fo».
«Casalegno sottovalutò la realtà. Ruotante intorno alla legge Reale, di una durezza senza eguali».
Lei leader di Autonomia Operaia. La differenza rispetto alle Br?
«Le Br avevano una concezione leninista del potere e una nozione di classe di stampo vecchio operaista. Autonomia Operaia era invece aperta alle nuove soggettività, il suo era un respiro federalista».
Autonomia Operaia e le Br, entrambe «offensive».
«L’assassinio politico delle Br, organizzate militarmente, è assassinio delle lotte. Ecco perché lo contrasto».
La violenza contrassegnò anche Autonomia Operaia, no?
«Autonomia Operaia – di sicuro non un’avanguardia di anime belle – non contemplava l’omicidio. La sua violenza, in risposta alla violenza padronale, la violenza che non è legale, ma legittima, andò dalle occupazioni di case agli espropri».
Le è capitato di distinguere fra estremismo e terrorismo suLe Monde, annoverando le Br nell’estremismo...
«A definire il terrorismo sono le bombe. Dagli anarchici dell’Ottocento alle stragi di Stato».
Fra azione e pensiero, il professor Negri, docente di «Dottrina dello Stato». Un paradosso, no? Lei che impersona l’antiStato...
«Dissentendo radicalmente da Bobbio, che mi sostenne convintamente verso la cattedra universitaria. Sostengo la demistificazione dello Stato. Curai, per Feltrinelli, un volume di teoria dello Stato in cui mancava la voce Stato, che è violenza organizzata: se ne analizzavano le funzioni, che vanno ridotte, non esaltate».
Lo Stato francese l’accolse, in esilio. Grazie alla dottrina Mitterrand, di cui hanno beneficiato diversi criminali, come Cesare Battisti.
«La dottrina Mitterrand, mutuata dalle destre, da Chirac, mirava a contenere gli effetti del Sessantotto. La generalità che caratterizza la norma giuridica implica che non si distingua, che ad avvalersene, nel caso, sia un criminale. Vogliamo ricordare l’amnistia di Togliatti?».
Due secoli fa nasceva Marx, il terzo suo nume, dopo Machiavelli e Spinoza...
«Che cosa rimane di Marx? L’analisi del capitalismo. Non vi si può prescindere, come ogni professore di economia sa. E il desiderio di liberare il lavoro dallo sfruttamento».
Lei abita a pochi passi dalla Coupole e dalla Closerie de Lilas, luoghi hemingwayani. Il suo scrittore?
«Melville. Ovvero libertà, spazio, selvaggeria, impavida analisi dell’umana interiorità, mistica della resistenza. Bartelby docet: preferirei di no».
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Verso il 7 aprile. Si avvicina (2019) il quarantennale dalla retata che ingabbiò a Padova Autonomia Operaia, in ossequio al teorema Calogero. A svettare, un inquisito, Toni Negri, imputato di vari, gravi reati: l’insurrezione armata contro lo Stato come l’assassinio di Moro. Una vicenda giudiziaria che, di accusa caduta in accusa confermata, approdò a una condanna a 17 anni di carcere, di cui 11 e mezzo realmente scontati, tra indulto generale e buona condotta.
Che cosa resta di Toni Negri oggi? Ciò che dissero di lui, per cominciare. Un «cattivo maestro», che Montanelli avrebbe voluto vedere impiccato. Il «professore terrorista» secondo il verdetto inappellabile di Giorgio Bocca. Un «mestatore», per Enzo Biagi. Il Grande Vecchio, a dar retta ai tam tam dietrologici. Un ritratto vetrioleggiante, a più voci, a cui Toni Negri (Padova, 1933), già docente di Dottrina dello Stato, autore di Impero, oppone il suo autoritratto, editore Ponte alle Grazie. Dopo Storia di un comunista, ecco Galera ed esilio (a cura di Girolamo De Michele).
«Storia di un comunista». Quale comunista?
«Considero il capitalismo una malattia della civiltà. Le lotte operaie sono il meglio dell’umanità, tra valori, bisogni, speranze. Il comunismo e il 900, due pagine in assoluto: la rivoluzione sovietica e la battaglia di Stalingrado, che arginò il nazifascismo».
Non dimenticando le pagine orride, come i gulag.
«Va da sé. Rosa Luxemburg non fu tra i primi critici del potere bolscevico?».
Riesce ad immaginare una società comunista?
«Non sono un romantico. Preferisco la praxis. Revolution si intitolerà il mio nuovo libro. Sono certo che la più grande crisi scoppierà nel Paese per eccellenza del capitalismo, gli Stati Uniti. E tutto potrà essere».
Aspettando il comunismo, dilagano sovranismi e populismi.
«L’Italia. Salvini non rappresenta, almeno per ora, gli interessi economici reali di una borghesia atterrita, spaventata, dal comunismo – risaliamo a inizio 900, evochiamo una figura quale il Duce – o da che altro».
E i 5 Stelle?
«Sono la falsificazione di istanze di sinistra non organizzate, dalle rivendicazioni anticasta a quelle ambientaliste. Il tutto sub specie piattaforma Rousseau».
I 5 Stelle proclamano il reddito di cittadinanza. Non lo caldeggiava già il «suo» Potere Operaio?
«Il reddito secondo i 5 Stelle è una misura assistenziale o di Workfare (disciplina del lavoro). Per me è un diritto di ogni cittadino. Tale universalità rispecchia la forma in cui si sviluppa oggi la ricchezza: cooperazione sociale del lavoro cognitivo, relazioni di servizio, ricerca...».
Sovranismi e populismi oltre l’Italia. Condizioneranno inesorabilmente il destino dell’Europa?
«È la mia impressione. Solo una vera trasformazione federalista dell’Unione permetterà di unire e di riprendere lo sviluppo – oltre a produrre valori di convivenza in un mondo nel caos».
Caos di oggi, caos di ieri. Quarant’anni fa l’assassinio di Moro.
«Il politico migliore della Prima Repubblica. La sua intuizione: l’apertura a sinistra».
Dov’era il Pci di Berlinguer...
«Spentosi il faro della Piazza Rossa, la partita si giocava in Occidente. Berlinguer commise un madornale errore: cambiare missione al Partito comunista. Dalla lotta di classe alla lotta morale. Di qui l’era di Mani Pulite. Il trionfo del morbo giustizialista, la trincea di una certa Repubblica».
Mezzo secolo fa il Sessantotto...
«Il 68 italiano ha una matrice operaista. Gli studenti si proiettano verso le fabbriche, il pensiero si forgia nelle officine. Il nostro 68 è il ’77. La fantasia, l’immaginazione al potere, la comunità gioiosa e offensiva».
Il ’77. Il Movimento a Bologna. Al convegno «contro la repressione» partecipò un intellettuale borghese come Casalegno, animato dalla volontà di capire, I terroristi lo uccideranno di lì a poco...
«L’omicidio Casalegno: una sciagura, un’indecenza. Ma Casalegno era uno. La sua onestà intellettuale, la sua urgenza di capire non era di altri giornalisti».
Quel convegno contro «la repressione». Un allarme da Casalegno non condiviso. Scrisse, riferendosi al grido d’allarme, per esempio, di Guattari: «Il filosofo Guattari ha superato in comicità Dario Fo».
«Casalegno sottovalutò la realtà. Ruotante intorno alla legge Reale, di una durezza senza eguali».
Lei leader di Autonomia Operaia. La differenza rispetto alle Br?
«Le Br avevano una concezione leninista del potere e una nozione di classe di stampo vecchio operaista. Autonomia Operaia era invece aperta alle nuove soggettività, il suo era un respiro federalista».
Autonomia Operaia e le Br, entrambe «offensive».
«L’assassinio politico delle Br, organizzate militarmente, è assassinio delle lotte. Ecco perché lo contrasto».
La violenza contrassegnò anche Autonomia Operaia, no?
«Autonomia Operaia – di sicuro non un’avanguardia di anime belle – non contemplava l’omicidio. La sua violenza, in risposta alla violenza padronale, la violenza che non è legale, ma legittima, andò dalle occupazioni di case agli espropri».
Le è capitato di distinguere fra estremismo e terrorismo suLe Monde, annoverando le Br nell’estremismo...
«A definire il terrorismo sono le bombe. Dagli anarchici dell’Ottocento alle stragi di Stato».
Fra azione e pensiero, il professor Negri, docente di «Dottrina dello Stato». Un paradosso, no? Lei che impersona l’antiStato...
«Dissentendo radicalmente da Bobbio, che mi sostenne convintamente verso la cattedra universitaria. Sostengo la demistificazione dello Stato. Curai, per Feltrinelli, un volume di teoria dello Stato in cui mancava la voce Stato, che è violenza organizzata: se ne analizzavano le funzioni, che vanno ridotte, non esaltate».
Lo Stato francese l’accolse, in esilio. Grazie alla dottrina Mitterrand, di cui hanno beneficiato diversi criminali, come Cesare Battisti.
«La dottrina Mitterrand, mutuata dalle destre, da Chirac, mirava a contenere gli effetti del Sessantotto. La generalità che caratterizza la norma giuridica implica che non si distingua, che ad avvalersene, nel caso, sia un criminale. Vogliamo ricordare l’amnistia di Togliatti?».
Due secoli fa nasceva Marx, il terzo suo nume, dopo Machiavelli e Spinoza...
«Che cosa rimane di Marx? L’analisi del capitalismo. Non vi si può prescindere, come ogni professore di economia sa. E il desiderio di liberare il lavoro dallo sfruttamento».
Lei abita a pochi passi dalla Coupole e dalla Closerie de Lilas, luoghi hemingwayani. Il suo scrittore?
«Melville. Ovvero libertà, spazio, selvaggeria, impavida analisi dell’umana interiorità, mistica della resistenza. Bartelby docet: preferirei di no».
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