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 2018  luglio 01 Domenica calendario

Funamboli delle vette su corde di 5 centimetri: «Siamo sempre di più, è una meditazione»


Funamboli. Non circensi, non showman, neppure in cerca di record. Funamboli moderni che sono distanti da quelli ottocenteschi. Niente fune, ma fettuccia di nylon o di poliestere su cui mettere i piedi nudi, niente bilanciere e tutto che oscilla. Soprattutto «nessuna sfida alla morte, neppure in coloro che scelgono di non farsi sicurezza», dice Sirio «Zao» Izzo, milanese che ha scritto per primo in Italia un libro su questi nuovi funamboli: «L’arte della slackline». È un «ricerca del vuoto» questa sorta di arte non soltanto di equilibrio. E in quel vuoto due giorni fa è caduto un giovane di 30 anni, Matteo Pancaldi, chimico di Spilamberto, in provincia di Bologna. Era sui monti Lessini, in Valdadige e aveva teso la sua fettuccia su 150 metri di vuoto ai Denti della Sega. Un errore di manovra nell’ancorarsi lo ha tradito.
Sfida al vuoto
Fra tutti i nuovi sport legati anche alla montagna, lo slackline «è il più sicuro». La conferma non viene soltanto da chi lo pratica, ma anche dalle statistiche. Quello sui monti Lessini è il terzo incidente grave in mezzo secolo di «camminate» sulla fettuccia. «Le sensazioni che provi – spiega Izzo – non sono legate alla sfida della morte, ma a quell’essere appeso al nulla. Non è soltanto il vuoto, come avverte per esempio un alpinista o uno scalatore. È qualcosa che all’inizio ti mette in forte disagio. Dopo aver imparato la tecnica non distante dal suolo, appena il vuoto aumenta tutto diventa più difficile, dimentichi di respirare come dovresti. Ma quando riesci a superare questi ostacoli la sensazione è coinvolgente, si trasforma in meditazione».
La comunità
Chi pratica la slackline, che diventa Highline se lo si fa in montagna, fa parte di una sorta di comunità. È molto forte lo spirito identitario. La genesi è simile a quella dei freeclimber tra gli Anni 60 e 70 nello Yosemite, il parco californiano dove anche l’alpinismo ha vissuto una svolta epocale. E proprio lì, fra le conifere e i campeggi improvvisati ai piedi di El Capitan è nato lo slackline. All’inizio chi doveva affrontare il granito del Capitan o dell’Half Dome, legava le fettucce a due alberi, le tendeva a un metro da terra e cercava camminandoci sopra un perfetto equilibrio. Nato come allenamento, oggi i praticanti sono migliaia. E qualcuno ha portato all’estremo questo danzare nel vuoto salendo sulle montagne e percorrendo i burroni senza sicurezza, senza quel pezzo di corda che di solito lega l’atleta alla fettuccia. È quanto accade anche nell’alpinismo o nell’arrampicata su roccia, quando lo scalatore affronta le pareti senza assicurazione, né fune, né chiodi. Ma questi rappresentano l’eccezione. Gli altri sono ormai un mondo colorato e divertito di alcune migliaia di persone nel mondo e di circa 300 in Italia. Ci sono associazioni, club, gruppi sui social.
Brividi tra i palazzi
Come i funamboli anche gli slackliner stanno scendendo in città. Camminano fra palazzi. Esibizioni, divertimento spettacolare. Poi ci sono le gare, perfino i campionati del mondo. Ma l’agonismo è un mondo diverso. Disciplina sportiva o arte che sia, questo correre nel vuoto su una fettuccia larga tra i 2,5 e 5 centimetri, si affida a una tecnica che coniuga la nautica all’alpinismo e allo studio degli alti carichi di resistenza dei materiali. «Di qui la sicurezza», dice Izzo, che è reduce da una sua elegante performance su un orrido profondo 90 metri in Valle d’Aosta: «Ho “danzato” sulla fettuccia per una lunghezza di 160 metri». L’impresa viene chiamata «progetto» e per tendere la fettuccia tra due picchi a volte vengono usati i droni per il trasporto nel vuoto. Poi gli ancoraggi nella roccia, la tensione della fettuccia (è doppia). E la «danza» nel vuoto può cominciare.