Corriere della Sera, 30 giugno 2018
L’impresa è arte, non solo cifre
«Anche nei Paesi più ricchi, un gran numero di persone è impantanato in una condizione di povertà o quasi povertà, perché costretto a fare affidamento su posti di lavoro salariato come unica fonte di reddito possibile». Muhammad Yunus, l’inventore del microcredito, fondatore della Grameen Bank, più conosciuto come banchiere dei poveri, sull’idea dell’intraprendere ha costruito la sua storia, raccontata in un libro recentemente pubblicato da Feltrinelli (Un mondo a tre zeri). Una storia incentrata sul fatto che sia da abbattere il falso mito «che ci siano persone incapaci di creare valore economico… adatte solo a ricevere assistenza caritatevole o sussidi pubblici». Mentre si può scegliere se essere «cercatori di lavoro o creatori di lavoro». Imprenditori dunque. Creatori di sviluppo per sé e per gli altri. Da un lato la rivalutazione del ruolo di chi decide di rischiare, dall’altro farlo disponendo di una forte etica.
Una sorta di ritorno all’impresa. Una lezione importante. In tempi nei quali l’impresa, l’imprenditore, appaiono poco considerati e le rappresentanze dei corpi intermedi hanno poco ascolto. Conseguenza probabilmente del dominio di un economicismo d’accatto, dove a farla da padrone sono stati per lungo tempo i numeri invece delle idee. Eppure, come dice il titolo di un libro appena uscito, Arricchirsi con onore è possibile. Opera sulla quale vale la pena soffermarsi un po’ di più. Il Libro de l’arte de la mercatura, di Benedetto Cotrugli, è stato rimaneggiato per un’edizione divulgativa in italiano da Alessandro Wagner per la Rizzoli. Cotrugli è un mercante rinascimentale, per dovere più che per piacere. La morte del padre nel 1438 lo spinge ad abbandonare gli studi e a prendere in mano le redini dell’impresa di famiglia.
Siamo negli anni in cui l’Italia regala al mondo il Rinascimento. E Cotrugli, originario di Ragusa, l’attuale Dubrovnik, ai tempi considerata secondo alcuni studiosi la quinta Repubblica marinara italiana, viene catapultato a Napoli in un ambiente dove etica e morale evidentemente lasciano parecchio a desiderare. L’azienda della sua famiglia e quindi lui come amministratore proprietario, «comprava lane a Barcellona; le faceva diventare panni e filati a Firenze e Prato, per poi rivenderli a Costantinopoli e Venezia». Cotrugli viaggia e frequenta città che sono il cuore di quel periodo d’oro.
Respira l’aria della Firenze del «fiorino moneta forte d’Europa» e che ha prodotto figure come Donatello, Masaccio e Brunelleschi. Nello scrivere il suo manuale etico per essere un buon imprenditore «è influenzato dalle opere di Leon Battista Alberti a partire dalla struttura e soprattutto dalla scelta di scriverlo in volgare». Lo comporrà una volta stabilito al Castello di Serpico, (oggi Sorbo Serpico in provincia di Avellino), terminandolo nel 1458. Ma devono passare cento anni perché venga stampato e altri cinquecento prima di essere riscoperto grazie a un’opera meritoria della Università Ca’ Foscari di Venezia sotto la guida dell’ex rettore Carlo Carraro. A dare spinta e respiro all’intera operazione servirà anche un veneziano banchiere, imprenditore e professore come Fabio Sattin, che lo farà conoscere a uno dei maggiori storici viventi, Niall Ferguson.
Un lavoro che ha portato a una preziosa edizione inglese lo scorso anno edita da Palgrave Macmillan, The Book of Trade, della quale proprio Ferguson vorrà scrivere la prefazione. Come spesso accade abbiamo avuto bisogno di una scoperta oltre Atlantico prima che in Italia si comprendesse la modernità di Cotrugli, che Ferguson accosta a The Art of the Deal di Donald Trump, forse il manuale di business più venduto al mondo, come potenziale capacità di influenza, ma per marcarne le differenze.
Lo storico britannico nel suo ultimo libro La piazza e la torre (Mondadori) dedica un intero capitolo a Cotrugli. L’imprenditore umanista non è Trump, dice Ferguson. Nelle quindici regole d’oro per arricchirsi con onore desunte dal Libro de l’arte de la mercatura c’è quella di evitare la politica vista come uno dei rischi principali per chi vuole essere imprenditore. Anzi è la cultura a essere tutto. Prodigo di consigli anche pratici (delineò la partita doppia ben prima dell’abate Paciolli) come il perseguire la qualità, saper stare in pubblico, persino l’abbigliamento: «Devi essere tu a padroneggiare i vestiti, non i vestiti a padroneggiare te».
Un imprenditore del nostro tempo come Brunello Cucinelli, nella sua prefazione all’edizione divulgativa, dice di avere provato «un’emozione profonda» nello scoprire Cotrugli e non solo per la modernità e l’acume imprenditoriale, «ma soprattutto per il sistema di valori che fissa e tramanda». Quel sistema di valori al quale possiamo e dobbiamo fare riferimento per comprendere perché ancora oggi il nostro Paese, nonostante vicissitudini e peripezie, è uno dei principali attori del commercio internazionale. Troppo spesso le difficoltà contingenti ci fanno sembrare il compito di essere all’altezza dei nostri competitor internazionali un obiettivo irraggiungibile. Ma questo accade perché si allentano i nostri legami con l’impresa e gli imprenditori, soprattutto quelli che hanno dentro di loro «l’arte de la mercatura», pur non avendo letto Cotrugli. Perché sanno che la loro missione è «arricchirsi con onore», creando sviluppo e lavoro, con costanza, citando come il mercante rinascimentale Cicerone: non turbandosi nelle avversità e non innalzandosi nella prosperità.