Corriere della Sera, 30 giugno 2018
Il calcio magico di Liv Cooke
Il suo sogno è esibirsi nel Colosseo. Sì, proprio nel Colosseo, perché è rimasta impressionata da un film che ha visto qualche tempo fa, probabilmente Il gladiatore di Ridley Scott, anche se le scenografie del malridotto anfiteatro romano furono realizzate a Malta. Stiamo parlando di Liv Cooke, campionessa mondiale del calcio «freestyle». È la più brava di tutte a fare acrobazie e imprevedibili trucchi con il pallone. Come lei, il geniale Neymar. Ma lui non gioca o non dovrebbe giocare da solo.
Raccontare questa specialità poco conosciuta è un pretesto per rendere omaggio a tutte le ragazze che hanno scelto il calcio: nobile arte, praticata con passione, già negli anni Cinquanta, dalle studentesse del Wellesley College, l’università del Massachusetts dove insegnò Vladimir Nabokov. Più Ada, meno Lolita. Non è un caso che sia stata proprio Liv la testimonial di «Play Anywhere», campagna organizzata dall’Uefa per promuovere il football femminile. Nel video girato in quella occasione palleggia su una barca di pescatori in Norvegia.
Nata a Leyland, Liv ha seguito la strada dei due fratelli e si è dedicata al «freestyle» dopo un infortunio alla spalla. Meno grave, fortunatamente, di quello dell’ex presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, promettente attaccante, che aprì una libreria dopo essersi fratturato un ginocchio. La determinazione sembra essere una delle migliori qualità di questa diciannovenne dai piedi magici. «Nella mia disciplina – ha raccontato a Marca – la responsabilità resta soltanto tua e il risultato dipende dal lavoro fatto».
Se è vero, come ha scritto Javier Marías, che il calcio è «il recupero settimanale dell’infanzia», va detto che il gioco individuale di Liv è ancora più vicino alla memoria indelebile dei nostri anni di bambini: i tiri contro il muro del garage, la raccolta delle figurine, lo studio attento di peso, altezza e data di nascita, le formazioni imparate a memoria, le radiocronache fittizie a voce alta. Intanto il tempo è passato. Ma bisogna sempre voler vincere, aggiunge lo scrittore spagnolo, perché «contrariamente ad altre attività della vita, nello sport non si accumula né si fa tesoro di niente». Resta solo qualche dubbio, forse, sulla differenza con la vita.