il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2018
Beveroni e minestrine, il telemarketing è social. Il caso Juice plus
Qualche settimana fa mi sono imbattuta in un post su fb di una ragazza di Ravenna, tale Cristina, che a corredo di un suo selfie con tre signore visibilmente in carne sullo sfondo, aveva scritto “Festa di fine anno della scuola di mia figlia. Mamme, iniziate Slim and F., altrimenti i vostri mariti si girano a guardare altre mamme più curate!”. Seguiva uno scambio di battute con un’altra ragazza che confermava come durante la festa della scuola, i mariti delle altre guardassero loro due belle e magre e non le proprie mogli. La storia è finita in tragedia, con la scuola che l’ha convocata, minacce di denunce, lei che si è detta distrutta, un oscuro “ho perso il lavoro, sono disperata”. La faccenda mi era parsa surreale.
È vero che ormai, se sei scemo, grazie ai social hai il privilegio di farlo sapere rapidamente a tutti, ma in questo caso non capivo come fosse possibile che una madre si fosse esposta in maniera così fessa, dileggiando docenti e madri della scuola della sua bambina. Poi, in un’intervista successiva, Cristina, alla domanda “che lavoro facevi?” ha dichiarato: “Non voglio dirlo. Chi mi dava lavoro non è un’azienda ma una sorta di stile di vita! Le mie clienti mi ringraziavano, mi dicevano ‘Tu sei tutte noi!’”. A quel punto, ho capito che c’era qualcosa di strano. E ho scoperto il magico mondo Juice plus, di cui Cristina faceva parte e sul cui nome ha deciso di sorvolare (forse) perché il marito lavora nella Guardia di finanza (e di questo parlerò più avanti). Vi ricordate Herbalife, la faccenda del marketing piramidale e l’esercito di invasati che giravano con adesivi sul cofano dell’auto, spillette e opuscoli motivazionali che al confronto i venditori ambulanti di Bombay sono persone schive? Ecco, oggi la storia si è evoluta ed è nata Juice Plus, che usa i social per espandersi, rincretinire le Cristine sparse per il mondo e, ovviamente, guadagnare un sacco di soldi spillandoli a chi vuole dimagrire. La Juice Plus è una azienda americana che vende sia sostitutivi dei pasti a base proteica che multivitaminici. Naturalmente, a prezzi imperdibili. E tramite network marketing. Sette barattoli di capsule denominate Miscela bacche o Miscela verdure, per dire, costano 319 euro, ma ci sono anche i soliti beveroni al cioccolato, alla vaniglia e le minestrine chiamate vegetable soup che fa più figo. Fin qui, la solita solfa. Ne compri un paio e dopo due mesi sono ancora nell’armadietto della cucina con le farfalle da dispensa che gli girano intorno. La novità sta nel fatto che Juice plus non si limita a vendere prodotti ma recluta venditori col classico sistema di marketing multilivello (prendi provvigioni anche dalla rete dei tuoi sottodistributori) indicando come bisogna comportarsi sui social. I profili dei venditori Juice plus sembrano un inquietante esperimento di lavaggio del cervello ai danni di studentesse, mamme, casalinghe a cui viene data una lista di cose da pubblicare per sembrare magre, felici, vincenti e soprattutto benestanti grazie al lavoro dei sogni: vendere beveroni. Le bacheche cloni prevedono pubblicazione di tot post al giorno con frasi motivazionali alla Osho del Tufello, di foto sorridenti con i figli perché vendere beveroni ti permette di lavorare da casa, ritratti di cibi sani e colorati, foto di scambi su Whatsapp con le clienti che ti ringraziano perché erano grasse e infelici e ora grazie a te hanno il culo di Belén e la pace interiore del Dalai Lama.
E poi consigli dietetici, foto fuffa del prima e del dopo, mamme che lodano le altre mammine. C’è perfino quella che scrive “Lavoro online e grazie a Juice plus posso fare i lavori di casa con le mie manine senza delegare! La mia casa voglio tirarla a lucido io stessa!”. C’è la tizia che pubblica le foto in perizoma della figlia 13enne per far vedere quanto è dimagrita. E poi bisogna lasciar intendere che a vendere capsule ai mirtilli si guadagna bene, benissimo, quindi foto con nuovi acquisti e borse firmate. Il fatto che nessuna di queste tizie sia una nutrizionista o dietologa naturalmente è un particolare non trascurabile. Eppure, a leggere forum, bacheche e scambi tra consumatrici e rivenditrici, i consigli dietetici e alimentari sono una costante, pure se fino al giorno prima facevano le commesse alla Upim. Nel loro curriculum, del resto, alla voce lavoro c’è “Trasforma la tua vita adesso”, “Volere è potere”. Ognuna delle venditrici possiede un codice. Se ti convincono a comprare qualcosa online, tu utilizzi il loro codice. Loro guadagnano il 10%. Dai mille euro in su di venduto, la loro provvigione aumenta. Ci sono ingegneri, commesse e dipendenti comunali che si sono licenziati per inseguire il sogno Juice plus. Quelli che vendono molto creano il loro team di distributori e diventano “president”. La caratteristica dei president è ostentare. Far sapere che sono i king dei beveroni e che grazie alle minestrine liofilizzate rischiano di finire sulla copertina di Forbes. Il team Unstoppable è quello dei più esaltati, la frangia più delirante. Dentro c’è Claudio Capozza che pubblica le foto della sua Porsche fiammante con scritte tipo “Sei già dentro al miracolo!”. Ci sono anche i due fondatori ex camerieri e informatici di Unstoppable, i fratelli Orrù, che pubblicano le foto della casa con la piscina che si sono comprati grazie a Juice Plus ricordando che ce l’hanno fatta grazie alla “scintilla di libertà” che hanno intravisto nei beveroni. Se sei nel team Unstoppable sui social devi fare quello che ti dicono loro. Se non lo fai, sei espulso.
Chiedo a M., una rivenditrice, come avvengano i pagamenti. “Ci paga una filiale svizzera (ma guarda il caso), ogni 10 del mese sono puntualissimi con il bonifico”. Domando se l’azienda richieda la fattura o la ritenuta d’acconto prima di fare un bonifico. Mi risponde che no, sta alla correttezza del singolo dichiarare i soldi al fisco. “E comunque chi guadagna davvero sono quelli tipo gli Orrù, chi sta al vertice, visto che chi compra Juice plus sono migliaia e migliaia di persone…”, aggiunge. Insomma, un’orda di casalinghe che si improvvisano nutrizioniste, un esercito di invasati che si fomentano reciprocamente a meeting motivazionali con finti premi e celebrazioni da notte degli Oscar, un sistema di marketing piramidale che in teoria sarebbe anche vietato dalla legge e guadagni che finiscono dritti sul conto con una percentuale di nero tutta da verificare. Del resto, si parla di diete e si sa, il nero sfina.