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 2018  giugno 30 Sabato calendario

Tangentopoli, embè?

“Soldi a tutti i partiti”, “Ho pagato tutti i partiti”, “Mazzette a tutti da sempre”. Chi legge i titoli sull’interrogatorio fiume di Luca Parnasi, il palazzinaro romano arrestato per corruzione sul nuovo stadio della Roma e altri affari, dirà: oddio, adesso chissà che succede. Invece è molto probabile che non succeda niente o quasi in aggiunta alla retata di metà giugno. Eppure i fatti sono gravissimi. Un imprenditore che contratta con la Pubblica amministrazione, cioè con partiti o loro emissari, non dovrebbe poter pagare nessuno di coloro che ha trovato o che troverà dall’altro capo del tavolo delle trattative per affari che lo riguardano. E nessun partito dovrebbe poter ricevere denaro da imprenditori che hanno ricevuto o riceveranno appalti dai suoi amministratori. Ma purtroppo, per le nostre leggi, non è così. Non sempre i fatti gravi – quando a commetterli sono colletti bianchi – coincidono con i reati, soprattutto nell’Italia post-1992-’93 che, anziché darsi gli anticorpi contro il riprodursi di Tangentopoli (lo scandalo), si è data quelli contro il ripetersi di Mani Pulite (l’inchiesta). In una parola: ha legalizzato le mazzette. Vedremo cosa dirà la Cassazione quando esaminerà i ricorsi degli arrestati.
C’è la questione giuridica, non da poco, della figura del superconsulente dei 5Stelle Luca Lanzalone, ritenuto da pm e gip un “pubblico ufficiale di fatto” perché delegato dalla sindaca Raggi di seguire il dossier stadio e poi nominato presidente della società mista Acea. Se la Corte confermerà quel ruolo, l’accusa di corruzione reggerà. In caso contrario, senza il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, crollerà, anche se il fatto (gravissimo) sarà accertato: e cioè che, mentre trattava o dopo aver trattato con Parnasi sullo stadio per il Comune, Lanzalone accettò consulenze legali per le società del costruttore per oltre 100 mila euro. A quel punto i pm potrebbero ripiegare sul traffico d’influenze, reato tipico del mediatore che chiede soldi o altri vantaggi per raccomandare il privato al pubblico ufficiale. Però quel reato non prevede intercettazioni né manette, dunque bisognerebbe pure chiedere scusa agli arrestati. L’accusa di corruzione riguarda una miriade di politici locali del Pd, di FI ecc. che da Parnasi avrebbero ricevuto denaro o altre utilità (qualche migliaio di euro o la promessa di assunzione di un figlio). Essendo politici, assessori o consiglieri comunali o regionali, non c’è dubbio che siano pubblici ufficiali: ma bisognerà dimostrare il “nesso causale” fra soldi (o favori) ricevuti e decisioni assunte a favore di Parnasi.
Decisioni – quelle sullo stadio – che la Procura ritiene corrette. È vero che la Cassazione considera corrotto anche l’amministratore pubblico che sta sul libro paga di un privato non in cambio di questo o quell’atto, ma una volta per tutte, “a disposizione”. Ma l’asservimento permanente di un politico non può valere poche migliaia di euro. Infatti i legali di Parnasi sostengono che quelle di Parnasi ai politici non erano mazzette, ma finanziamenti elettorali (in parte leciti perché dichiarati, in parte illeciti perché in nero) per avere buoni rapporti con tutti ed evitare che qualcuno si mettesse di traverso. Due anni fa, su Libero, Franco Bechis pubblicò la lista dei politici romani finanziati da Parnasi in campagna elettorale: erano di tutti i principali partiti di centrosinistra e centrodestra, salvo i Radicali e il M5S (che infatti lo costrinsero a dimezzare il mega-progetto dello stadio rispetto a quel monumento alla speculazione che era l’iniziale progetto Marino-Caudo). È normale che un palazzinaro che vuol costruire uno stadio sui propri terreni e, per farlo, necessita del via libera del Comune e della Regione, paghi le campagne elettorali a chi quel via libera ha dato o dovrà dare? No, è una vergogna: eppure era tutto lecito, tant’è che Bechis aveva tratto quelle informazioni da fonti “aperte”. Ora si scopre che Parnasi finanziò pure il Pd con 50 mila euro per la campagna elettorale di Sala (che lo ringraziò), visto che a Milano voleva realizzare il mega-stadio del Milan; versò 150 mila euro alla fondazione Eyu, legata al Pd renziano; e ne scucì 200 mila alla onlus leghista Più Voci.
E il bello (si fa per dire) è che quasi certamente è tutto lecito, anche se l’abbiamo scoperto perlopiù dalle intercettazioni: perché onlus, fondazioni & altre casse occulte dei partiti possono coprire i loro finanziatori con la privacy. Non solo: partiti e singoli politici, grazie alla legge del governo Letta, possono non dichiarare finanziamenti fino a 100 mila euro se i donatori chiedono l’anonimato. Intervistato dal Fatto, il sottosegretario leghista Giorgetti ha detto che occorreva cambiare la legge e il vicepremier Di Maio ha promesso nuove norme sui fondi a partiti, politici, fondazioni, onlus e altre opere pie per imporre trasparenza assoluta. Se possiamo permetterci, suggeriremmo una norma di tre articoli semplici semplici: 1. “Il partito o il politico o l’associazione a essi legata che riceve fondi superiori a 10 euro deve dichiararli in un apposito registro presso la segreteria del partito, o l’assemblea o l’organismo in cui il politico è stato eletto o candidato, o nel bilancio della società. 2. Il privato che finanzia partiti, politici o associazioni a essi legate deve registrare i contributi nei bilanci della sua società o nella dichiarazione dei redditi e non potrà contrattare né operare con la PA nei 10 anni successivi. 3. Chi contravviene agli articoli 1 e 2 commette il reato di illecito finanziamento dei partiti, punibile col carcere fino a 10 anni e, se esercita pubbliche funzioni, decàde subito e diventa ineleggibile in perpetuo. Se si tratta di un partito, perde i finanziamenti pubblici diretti e indiretti ed è escluso dalle successive elezioni”. Tutto il resto è chiacchiera.