Il Sole 24 Ore, 30 giugno 2018
Bikini o intero, i nuovi costumi hanno fibra bio e tessuti tech
Diana Vreeland, storica direttrice di Vogue America, definì il bikini «la cosa più importante dopo la bomba atomica». Un’iperbole perfetta per fotografare la forza dirompente (e anche distruttiva, se si guarda ad alcuni tabù) con cui il costume a due pezzi debuttò ormai più di 70 anni fa, cambiando radicalmente l’abbigliamento da spiaggia e avviando, contemporaneamente, una rivoluzione sociale. Oggi alla frase della Vreeland potrebbe essere data una nuova interpretazione, a sfondo scientifico: il costume da bagno, sia esso bikini o monopezzo, infatti, è un prodotto ad alto contenuto tecnologico, espressione di una filiera fortemente orientata alla ricerca. Filiera che l’Italia, come spesso accade, custodisce per intero e che sta spingendo le vendite del beachwear made in Italy all’estero: nel 2017, infatti, secondo le stime Confindustria Moda per Smi, le esportazioni di capi italiani di intimo e beachwear hanno superato i 2 miliardi di euro, segnando un +8,4 per cento. I costumi da bagno, che saranno protagonisti del Salone Maredamare, a Firenze dal 14 al 16 luglio, hanno registrato un +10% in valore verso i Paesi extra-Ue e un +8,1% entro i confini europei con Spagna, Francia e Germania come mercati di riferimento. E sono cresciuti del 2% anche sul mercato interno.
Tra gli obiettivi delle aziende – da quelle che sviluppano le fibre e i filati fino a quelle che producono tessuti e, infine, confezionano i prodotti – c’è la vittoria di una battaglia importante, quella della sostenibilità. In prima linea c’è Aquafil, fondata nel 1965 e da fine 2017 quotata nel segmento Star di Borsa Italiana. Tra i prodotti Aquafil, che ha un’intera divisione focalizzata sulla produzione di fibre per abbigliamento e sport, c’è Econyl, un filo di “nylon 6” 100% rigenerato da rifiuti (reti da pesca, per esempio) e 100% rigenerabile, creato con un sistema brevettato. «Econyl è nato come una sfida – spiega Giulio Bonazzi, presidente di Aquafil – e oggi è sostenibile, infinito nelle possibilità di rigenerazione e anche senza limiti in termini di utilizzo creativo. Penso che oggi la sostenibilità sia la sfida più importante per il settore. Per esempio, dovremmo focalizzarci sulla logistica inversa e su come riportare in azienda prodotti usati per rigenerare il filo».
Il prodotto è già molto impiegato: ultima in ordine cronologico è la collezione di beachwear Stella Mc Cartney, in licenza all’italiana Isa Spa. La linea è realizzata per il 45% con materiali sostenibili, tra cui spiccano Econyl e il nylon riciclato. Il marchio della stilista e imprenditrice inglese, da sempre attento alle tematiche green, non è l’unico a proporre costumi eco: Fiorio Milano, brand che fa capo all’azienda tessile Canepa, ha lanciato all’ultima edizione di Pitti uomo la prima collezione di costumi da bagno in materiale Kitotex, che impiega la chitina derivata dall’esoscheletro dei crostacei, certificato “Save the water”. United Colors of Benetton, invece, ha da poco lanciato la linea “Bio beachwear” realizzata con un materiale che impiega una fibra derivata dal ricino.
A creare il filato derivato dal ricino è la Fulgar di Castel Goffredo (Mn), già nota per il lavoro sul filo rigenerato Q-Nova: «Si chiama Evo e abbiamo cominciato a lavorarci un paio d’anni fa – racconta Alan Gerosi, marketing manager -. Non solo il polimero è di origine vegetale, e per giunta deriva da un elemento che non viene usato per l’alimentazione umana o animale, ma questa fibra sintetica è leggera e si asciuga più facilmente della media: è quindi adatta sia all’abbigliamento sportivo sia al beachwear». Quello della performance è un tema importante, in un mercato in cui il consumatore finale non solo è attento all’ambiente, ma è anche esigente. Gli spunti arrivano spesso dai produttori di filati – Nilit, per esempio, produce Sensil Breeze, a effetto refrigerante, e Innergy, che attiva la micro circolazione –, ma poi devono essere reinterpretati da tessiture e maglierie. Come Eurojersey di Caronno Pertusella (Va) che lavora con brand del calibro di Victoria’s Secrets con il suo tessuto Sensitive. Oppure il Maglificio Ripa di Spino d’Adda, nel cremonese. Fondato nel 1952, oggi lavora con interlocutori internazionali creando tessuti sostenibili, hi-tech e anche esteticamente appetibili: «Abbiamo realizzato un filato certificato eco al 100% – dice Paolo Fila, general manager di Maglificio Ripa – ma lavoriamo anche per creare tessuti performanti, come i doppi jersey interlocka taglio vivo, pensati per essere contenitivi, e a breve lanceremo una capsule con 20 tessuti Sensil Diamond Crystal a effetto luminescente: l’estetica continua ad essere importante, soprattutto quando si parla di costumi da bagno».