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 2018  giugno 30 Sabato calendario

Deutsche Bank bocciata dalla Fed

Il secondo esame non l’ha superato. Bocciata dalla Federal Reserve dove ora c’è Jerome Powell, il nuovo sceriffo scelto da Donald Trump. Visti i rapporti tesi con Berlino, il tycoon non deve essersi strappato le vesti nell’apprendere che la filiale Usa di Deutsche Bank è finita dietro la lavagna. Da sola, l’unica fra i 32 istituti esaminati. Passata, una settimana fa, senza danni la prima forca caudina degli stress test, quella basata sulla valutazione del livello di capitale in caso di una grave recessione globale, DB si è vista respinta questa volta per le «diffuse e critiche carenze» nella gestione del rischio, dei controlli interni e le pratiche di governance nel processo di pianificazione della distribuzione del capitale. Morale della favola, la branca statunitense del colosso tedesco è di fatto commissariata: per esempio, dovrà chiedere alla Fed l’autorizzazione Fed se vorrà versare dividendi alla casa-madre.
Per Deutsche Bank è, soprattutto, un’altra tegola in un momento delicatissimo dopo tre anni consecutivi di perdite (9,3 miliardi nel complesso), di cui ben 124 miliardi di euro di rosso iscritti nel bilancio 2017 alla voce derivati (un’autentica polveriera, visto che in pancia DB ne ha per un controvalore di 48mila miliardi), e avvicendamenti al vertice frequenti quasi quanto un cambio di calzini. Tocca a Christian Sewing, l’ultimo a cui è stata affidata lo scorso aprile la poltrona di amministratore delegato, il compito di traghettare la grande malata fuori dalle sabbie mobili dell’investment banking per riposizionarla su attività più tradizionali e meno rischiose. Essendosi occupato fino all’altro ieri di sportelli, Sewing sembra l’uomo giusto al posto giusto. Ma il piano per creare la DB 2.0, a parte gli oltre 7mila tagli del personale già annunciati, resta ancora lacunoso nella parte relativa al contenimento dei costi. 
Di tempo per rimettere le cose a posto non c’è n’è molto. Anche perché i disastri contabili hanno fatto di Deutsche una sorvegliata speciale alla Borsa di Francoforte. Anzi, peggio: un bersaglio immobile, facile da colpire. Nell’ultimo triennio il titolo ha dilapidato circa il 60% della capitalizzazione, e solo da inizio anno ha lasciato sul terreno oltre il 40%. L’andamento borsistico è come una spia rossa costantemente accesa per un istituto che ha asset per un controvalore di 1.500, pari al 45% del Pil tedesco. Ieri, però, le azioni hanno avuto un bel sussulto, con un balzo superiore al 3% nel corso della seduta e una chiusura in progresso dell’1,7%. Insomma, forti acquisti nonostante la doccia fredda arrivata dalla Fed. Ora, il rialzo può essere spiegato in due modi. Il primo: la banca centrale Usa ha promosso a pieni voti i ratios patrimoniali di DB Usa, prevedendo che anche in un contesto economico sfavorevole il Common Equity Tier 1 rimarrebbe al di sopra del 4,5%, il livello minimo richiesto dalla legge. La seconda rimanda più direttamente alla Borsa, dove proprio a causa dei rovesci subiti i titoli del gigante tedesco rischiano di essere estromessi dall’Euro Stoxx 50. L’attuale livello di capitalizzazione colloca infatti la banca al 63° posto. Se questo piazzamento non migliorerà entro settembre, mese in cui la composizione dell’indice può cambiare in base al peso di chi lo compone, DB sarà out. Con un effetto collaterale per nulla gradevole: i grandi fondi saranno obbligati a venderne i titoli per acquistare quelli della new entry. Per le azioni dell’istituto sarebbe una catastrofe. Che forse qualcuno – magari chi ieri ha sostenuto il titolo – vuole a tutti i costi evitare.