Corriere della Sera, 29 giugno 2018
Davide Locatelli, il pianista rock con tatuaggi e piercing
Tatuaggi, piercing e capelli biondo platino: un look poco classico a differenza dei serissimi studi, una svolta estetica che se ne porta dietro anche una sonora, il connubio tra uno strumento profondo come il pianoforte e la musica rock, pop ed elettronica. Davide Locatelli è nato 25 anni fa a Bergamo, a 4 aveva già iniziato a suonare: «Mi insegnava mio papà, diplomato al Conservatorio dove sono entrato anche io a 9 anni. Facevo la spola prima con Verona poi con Mantova, 8 ore di pianoforte e poi sui libri di scuola. A 19 anni mi sono diplomato e ho avuto la mia rivincita su chi mi isolava per la mia vita dedita allo studio».
Educazione siberiana, poi ha deciso che era troppo: «Il giorno del diploma ho detto a mio padre che non volevo suonare musica che non era nella mia anima, così sono passato al pianoforte in chiave pop e rock e ho pubblicato su Facebook il mio primo video, Zombie dei Cranberries». Il primo mattone. Poi sono arrivati i riconoscimenti popolari: Tú sí que vales su Canale 5 e l’applauso di Álvaro Soler, che ha eletto la versione fatta da Locatelli della sua Sofia come la migliore di tutte.
La sua conversione ha due obiettivi: «Sfatare il luogo comune di chi pensa che il pianoforte debba essere uno strumento di nicchia, solo per persone colte. E poi mandare un messaggio a tanti ragazzi come me: se avete una passione potete farcela, come è successo a me». Così è arrivato un tour di 64 dato lo scorso anno, i concerti in piazze e teatri.
Non le viene mai voglia di tornare a Mozart? «Quelle sono le mie radici, ma mi piace riarrangiarle alla mia maniera, per rendere la musica classica più popolare». I suoi riferimenti musicali pescano dai Linkin Park, ai Nirvana e agli Oasis, «ma anche artisti che interpretano la musica come piace a me, penso al volino di David Garrett e ai violoncelli dei 2Cellos». L’ultimo lavoro di Davide Locatelli è il video dove rivisita il tema originale di Pirati dei Caraibi in versione sanguigna e muscolare, con finale tra vere fiamme, lui che suona e il pianoforte che arde. L’ha bruciato davvero? «È stato un peccato, ma per la resa scenografica ne è valsa la pena».