Corriere della Sera, 29 giugno 2018
Si prepara la prima Pontida nazionale
Stavolta, prendendo per buone le prenotazioni di pullman e gli annunci di partecipazione, più che un raduno sarà un’adunata. Nel 1996, quando la Lega fu premiata con il 10% per la decisione di far cadere il primo governo Berlusconi, lo storico pratone di Pontida fu invaso, secondo i calcoli certo un po’ generosi di Roberto Calderoli, da 100 mila persone. Ora che il Carroccio sfiora il 30%, ci sono parlamentari e amministratori eletti in tutta Italia che vogliono calpestare il «sacro suolo» per la prima volta, portando con sé sostenitori e militanti (sono attesi oltre 200 pullman).
Dal ‘90, sono già 32 le volte (ci sono stati anche doppi appuntamenti annuali) che i leghisti si son dati appuntamento nella città del Giuramento contro il Barbarossa. Ma questa sarà un’edizione diversa da tutte le altre. La prima Pontida «nazionale», da Lega senza più nel logo il Nord delle origini. La prima vissuta con lo scettro del governo saldamente in mano, da protagonista assoluta e non da comprimaria. La prima con un verbo sovranista così lontano dagli afflati federalisti e i giuramenti indipendentisti di casa tra le colline della Val San Martino. «Vado a Pontida dal 1991 e sono state tutte straordinarie. Però finalmente adesso abbiamo la possibilità di passare dalle parole ai fatti» ha detto Salvini.
Il pratone ne ha viste tante. L’affluenza a fisarmonica, con le punte da record degli anni d’oro (la seconda metà degli anni Novanta e le ultime due edizioni salviniane) e i vuoti dei tempi difficili della malattia di Bossi e degli scandali, è una sorta di termometro dello stato di salute del movimento.
All’inizio era un rito, un ritrovarsi fra idealisti guardati in tralice per quel modo d’agire ruspante e antistituzionale. Qui hanno giurato fedeltà alla Repubblica del Nord. Qui è nato il mito della Padania e il Sole delle Alpi. Qui hanno coniato nuove monete. Umberto Bossi, specie i primi anni, teneva inchiodati i «barbari» con comizi fluviali. Da qui il Senatùr lanciava le sue intemerate e le sue scomuniche, qui dava appuntamento per le campagne d’autunno. Più rito pagano, che faceva il paio con la raccolta dell’acqua del dio Po, che evento politico. Fino al malore, nel 2004, che ha segnato la vita politica di Bossi.
Dà lì in poi, con il venir meno del vigore fisico del leader, Pontida si è trascinata per anni senza particolari sussulti. Nel 2012, lo scoppio dello scandalo Belsito ha segnato il punto più basso. Niente raduno, non c’era nulla da celebrare. Ancora due edizioni grigie con Roberto Maroni segretario e poi, ecco Salvini e la sua ruspa. E pur nella rinascita, un altro momento doloroso per il popolo leghista, quando l’anno scorso a Bossi per la prima volta non è stato consentito di parlare dal palco (e forse succederà anche quest’anno).
Eppure, proprio la Pontida 2017, nel suo cambio di colore dal verde padano al blu sovranista, ha posto le basi della campagna politica che ha portato l’ex capo dei Giovani Padani fino al Viminale. E domenica per Salvini sarà la consacrazione. Ma nei più vecchi affiora un senso di nostalgia. «Per me quello resta il luogo dell’identità padana che oggi pare dimenticata – spiega l’ex ministro Roberto Castelli – Salvini è bravissimo, ma Pontida è un sentimento, non solo politica».