la Repubblica, 29 giugno 2018
Le pistole e il livello di istruzione
È certamente sbagliato, e politicamente nefasto, attribuire all’ignoranza degli elettori ciò che non ci piace. Ma ancora più sbagliato è fingere (per rassegnazione o per demagogia) che non esista un nesso evidente tra livello di istruzione e percezione del mondo. Secondo stime del Censis, la percentuale di italiani favorevoli all’uso privato delle armi da fuoco è indirettamente proporzionale al titolo di studio: supera il 50 per cento in chi ha solo la licenza media, diminuisce tra diplomati e laureati.
Detto che, di questi tempi, diploma e laurea non garantiscono, in termini di sicurezza economica e sociale, molto di più rispetto alla licenza media, fa riflettere lo spontaneo riflesso (di paura, dunque di aggressività: e questa è etologia, non ideologia) che induce i meno istruiti a fare il tifo per la giustizia personale, con meno remore, evidentemente, e meno controdeduzioni rispetto a chi ha qualche risorsa culturale in più. Una volta di più, la “semplicità” di una risposta (armiamoci, come gli americani, e spariamo a chi ci minaccia) prevale su quella irriducibile forma di complicazione che è la realtà. La realtà dice (come ben documentato) che maggiore è il numero di armi in mano ai privati, maggiori sono l’insicurezza, la cruenza dei rapporti interpersonali, i morti e i feriti. Ma è una risposta che parla alla ragione; non agli istinti. La cultura serve ad alimentare la prima, governare i secondi.
Senza scomodare Gramsci, possiamo tranquillamente dire che battaglia culturale e battaglia politica sono la stessa identica cosa.