il Fatto Quotidiano, 29 giugno 2018
Mondadori, tagli ai giornalisti e bonus ai vertici
Intorno al palco allestito sui prati della Mondadori a Segrate per celebrare l’arrivo dell’estate c’erano Marina Berlusconi, presidente, l’amministratore Ernesto Mauri e 1400 persone tra dipendenti e familiari. Pochi i giornalisti, invece, assenti per una sorta di pudore: a nessuno piace essere additato come il tacchino sulla tavola degli americani durante la Festa del Ringraziamento. Gli oltre 200 redattori della Mondadori sono da anni in cottura, rosolati tra stati di crisi a ripetizione, ricorsi alla cosiddetta solidarietà, casse integrazioni, tagli ai benefit anche succosi ottenuti quando l’azienda era in fiore. Ora la Mondadori è una signora sul viale del tramonto contornata da figli e figliastri. I figliastri sono soprattutto i giornalisti, i figli sono una nidiata. A cominciare da alcuni ex dipendenti e redattori andati in pensione, ma rimasti imperterriti alla scrivania con contratti di consulenza di decine e decine di migliaia di euro. E poi i collaboratori di alto rango ben pagati, come Augusto Minzolini che con lo pseudonimo Kaiser Soze per anni ha firmato su Panorama. O Giuliano Ferrara che, lasciata la direzione del settimanale alla metà degli anni Novanta è rimasto una colonna fino all’autunno del 2017, quando il suo contratto è stato superato con una transazione apposita. Non sono mai stati forniti dati ufficiali, ma le voci a Segrate hanno sempre parlato di una cifra oscillante tra i 500 mila e i 700 mila euro l’anno.
Tra i figli ci sono pure gli stampatori Pozzoni che in forza di un singolare contratto si fanno pagare dalla Mondadori a prezzi superiori del 30% a quelli di mercato. Infine nel cesto dei figli mondadoriani svettano i capi dell’azienda i quali di recente si sono regalati la bellezza di quasi 8 milioni di euro di incentivi e premi; il solo Mauri ha intascato 3 milioni e mezzo. E non era la prima volta che succedeva: dopo aver autorevolmente assicurato già 4 anni fa che la Mondadori era risanata, si mise in tasca un bonus di 2,4 milioni. Nel frattempo comunicò ai figliastri rappresentati dal Comitato di redazione che pur essendo il peggio alle spalle, dovevano ancora tirare la cinghia e sopportare un altro periodo di solidarietà dal 2015 al 2017. Tanto non ci avrebbero rimesso molto in termini di stipendio perché, caritatevole e generoso, sarebbe intervenuto l’Inpgi (Istituto di previdenza dei giornalisti) a coprire buona parte del reddito non pagato dall’azienda.
Ora il giochino viene ripetuto: la Mondadori pretende un taglio sul costo del lavoro del 20% per 6 mesi, il 10% lo racimola con un complicato sistema di risparmi sulle ferie e il resto lo pretende di nuovo dai giornalisti italiani. Quando si tratta di queste faccende, i capi di Segrate diventano giocolieri: per avere i bonus invocano gli utili di bilancio, che bene o male ancora formalmente ci sono. Ma gli utili non contano per i giornalisti, allora quel che vale sono i conti non brillanti delle testate. Eppure la Mondadori è una sola, con un unico bilancio e i periodici sono semplici centri di costo della casa madre. Solidarietà e cassa integrazione negli ultimi 5 anni sono costate ai giornalisti italiani la bellezza di 94 milioni di euro e la Mondadori ha succhiato una bella fetta di questa quota.
Per i 25 redattori delle riviste TuStyle e Confidenze, la Mondadori non si è neanche sforzata di ripetere il giochetto della solidarietà. Li ha costretti a firmare una specie di conciliazione tombale in Assolombarda con cui rinunciano in media al 30% secco della retribuzione (con punte del 38), alle qualifiche ottenute in anni di lavoro, ai superminimi, cioè i vantaggi retributivi personali, a quasi metà degli scatti di anzianità cumulati e ai permessi retribuiti.