La Stampa, 29 giugno 2018
Gué Pequeno: «Per chi mi ascolta contano più i selfie di una canzone»
La competizione nel rap è altissima, ma Gué Pequeno è pronto alla battaglia. Dopo l’estate, infatti, tornerà «più forte che mai» con un nuovo album. Intanto, però, si concentra sui live: stasera sarà al GruVillage a Torino, mentre domani a Collisioni, a Barolo. Tappa imperdibile il 16 marzo prossimo, al Mediolanum Forum di Milano.
Per l’estate ha lanciatoLungomare Latinocon Willy William. Cosa pensa della corsa al tormentone che ormai riguarda anche il rap?
«Le mie canzoni hanno sempre una matrice forte: black, hip hop o latina. Perciò mi sento legittimato a fare quello che voglio. Lungomare Latino non è un ballo di gruppo, ha una parte rap con un basso prepotente e una ritmica trap».
Non sopporta determinate dinamiche del mainstream, come andare in tv?
«Ci sono andato, però non è il binario che preferisco. Sicuramente non sono un artista televisivo, ma non sono contrario a priori».
Nel libroGuérrierosostiene che «la televisione da anni sta inculcando una forma di prostituzione moderna».
«Al giorno d’oggi la tv potrebbe essere sostituita dai social. Le ragazze hanno profili alla Kim Kardashian, dove postano foto in bikini o scatti di cene in barca. Ma spesso è tutto fake: le donne fingono di essere belle, gli uomini di avere i soldi».
Pensa che i teenager più che ascoltare la sua musica preferiscano farsi un selfie con lei?
«Sì. In Italia non esiste una musica per bambini, quindi i più piccoli si identificano nel rap, che come matrice culturale non sarebbe proprio adatto a loro. Oggi non ci sono più le boy band, ci sono i rapper. La classifica ormai è dominata dalla trap».
Lei, comunque, è riuscito sempre a restare in vetta.
«I ragazzini mi ascoltano perché faccio rap, ma non potrò mai fare i numeri che fanno quelli che hanno dalla loro parte l’esercito dei novenni. È un altro campionato, ma le classifiche sono le stesse. E questo non va».
Musicalmente, ha qualche sfizio che vorrebbe togliersi?
«Mi piacerebbe fare un disco vintage con suoni Anni Novanta, ma quando ci penso mi faccio un sacco di paranoie. Ma arriverà il momento giusto».
Sente il peso del successo?
«Tutti pensano sia facile, in realtà è una strada piena di sacrifici».
Ancora oggi le radio non passano certi pezzi rap.
«Ci sono due mondi paralleli: quello degli artisti che fanno solo le hit in radio e quello della musica urban, che viaggia su altre piattaforme».
È stato produttore esecutivo del filmParola di Dio, presentato a Cannes. Le piacerebbe lavorare ancora nel cinema?
«Sì, ma ha tempi più dilatati della musica. Alcuni film si trascinano per anni. Sicuramente provare a scrivere per il cinema o avere delle piccole parti è bello, però è faticoso».
Su Ghali da Fazio ha scritto: è il tentativo di prendere un rapper e istituzionalizzarlo.
«Ghali sta tentando di Jovanottizzarsi. Si presenta in modo diverso dagli altri rapper. Ha imparato la lezione di Fedez e l’ha riadattata per sé. E vincerà, anzi forse ha già vinto».
Non accetterebbe mai di essere «istituzionalizzato»?
«No. Oggi comunque si è creata una vera industria. Ci sono soldi, contratti, concerti nei palazzetti, e quindi ci sono anche artisti istituzionalizzati. È normale, lo star system è arrivato anche da noi».