La Stampa, 29 giugno 2018
Mia “zia” Margherita Hack
Manca tantissimo Margherita, in ogni istante. Ma in ogni istante la viviamo anche, perché lei è in noi. La ritroviamo nei suoi scritti, nei ricordi, nei luoghi e nei saperi. E in quell’approccio alla vita che l’ha portata ad essere donna di scienza e di umanità». 29 giugno 2013. Sono passati cinque anni dalla morte di Margherita Hack, astrofisica di fama internazionale, volto spettinato e rigoroso della divulgazione scientifica in Italia, amata – non da tutti – per il suo animo battagliero e l’impegno politico e sociale in difesa della ragione e della scienza, della giustizia e dell’uguaglianza.
«Figura di cui si fa fatica a parlarne al passato», come sussurra Eda Gjergo, la «nipote» di Margherita – come lei scherzosamente diceva – la bambina arrivata dall’Albania insieme alla madre nel 1991 quando aveva poco più di anno e mezzo, e che – divorando libri e mostrando un talento fuori dal comune – instaurò un rapporto epistolare con l’astrofisica: uno scambio di lettere, con domande difficilissime a cui la Hack rispondeva con pazienza e attenzione. Oggi, a 29 anni, Eda ha conseguito a Chicago una doppia laurea in Matematica applicata ed in Fisica. E dal 2015 è tornata per il dottorato in Italia, proprio a Trieste, presso l’Osservatorio che in passato fu diretto da Margherita.
Eda, ti senti l’erede di Margherita?
«È una domanda che mi imbarazza e mi mette in soggezione. Gli eredi di Margherita sono tanti, ogni suo allievo può considerarsi un erede. Io ho avuto il privilegio di trascorrere tanto tempo con lei. Mi farebbe piacere seguire le sue orme, ovviamente nel mio campo e a modo mio, ma questo è ancora tutto da dimostrare. Quello che so è che dedicherò tutta la mia esistenza a rendere onore ai suoi insegnamenti e al suoi valori».
Cosa ti ha insegnato?
«Sicuramente la dedizione ferrea al lavoro. Lei era molto metodica, con una organizzazione impeccabile: la mattina leggeva e il pomeriggio scriveva. Era giudiziosa, si buttava nelle cose con concentrazione e passione. Non lasciava nulla al caso. Poteva fare le ore piccole su dei calcoli, però poi si ricordava che la mente ha bisogno del corpo. Era lei la prima a fare sport e muoversi per staccare la testa».
Come hai conosciuto Margherita?
«Ero una bambina curiosa. Ho imparato a leggere con Topolino e il primo ricordo, forse avevo cinque anni, è proprio quello di una articolo sulle comete. Da bambina divoravo libri. Lecce, Bari, Brindisi: mia madre mi portava in giro per biblioteche, sceglievo libri di astronomia e comprendevo le cose . Conoscevo Margherita, leggevo le riviste ma avevo quesiti a cui non trovavo soluzioni. E così a 11 anni le scrissi la prima lettera».
E lei?
«E lei mi rispose. Era generosa Margherita. Mi disse che per rispondere a tutte quelle domande sarebbe servito un intero libro. Ma fu solo l’inizio: per lettera o per telefono dava le risposte che cercavo, mi indirizzava verso altre colleghi, mi consigliava come muovermi in un’epoca in cui non c’erano Internet o i video di Youtube».
Poi vi siete incontrate di persona: ricordi quel momento.
«Sì, avevo appena finito le scuole medie. Con la mamma ci eravamo trasferite a Firenze, proprio per assecondare la mia voglia di conoscenza. Lei venne in città e ci demmo appuntamento».
Cosa ricordi?
«Ero tesissima. Avevo un gran mal di pancia, temevo di non essere all’altezza della sua intelligenza. Ho impresso l’istante in cui ci siamo guardate: aveva degli occhi azzurri meravigliosi, emanavano pulizia e trasparenza. Mi colpì la sua pace interiore, la sua serenità solida: abbiamo riso insieme, di noi, e ci siamo legate per sempre».
Poi ti sei trasferita a Trieste?
«Sì, l’estate successiva. Mi sembrava impossibile potessero esistere così tanti libro sull’astronomia. Lei faceva il suo lavoro, io passavo le giornate in soggiorno con Aldo, suo marito, uomo di rara cultura e simpatia. Mi spronavano a chiedere. A capire. A comprendere le leggi della fisica ma pure quelle della quotidianità. Con semplicità e sobrietà. Fu un’estate fondamentale per la mia crescita personale».
Le scuole superiori in un Collegio internazionale a Duino, grazie ad una borsa di studio e poi gli studi negli Stati Uniti: il vostro rapporto è continuato?
«Sì, sempre. Lei è sempre stato il mio riferimento scientifico. E più approfondivo le ricerche e più questo rapporto assumeva la forma dello scambio. Io la mettevo al corrente delle ricerche di frontiera più avanzate, lei con domande puntuali e lungimiranti mi aiutava a ad avere nuove prospettive. Nei miei studi sulla cosmologia le sue conoscenze sulle stelle sono state intuizioni che mi hanno aperto nuove prospettive».
Negli anni, con la salute di Aldo e Margherita minata, tua mamma Tatiana è andata a vivere con loro: vi sentivate famiglia?
«Io ero distante, Aldo e Margherita legati da un amore eterno, con un desiderio di indipendenza che andava al di là delle loro forze e possibilità, e la mamma ha fatto un lavoro prezioso. Anche di protezione. Non so se eravamo una famiglia, ma di sicuro ci sentivamo qualcosa di unico, unito e prezioso».
Dopo la morte di Margherita e Aldo ci sono state pesanti accuse di manomissioni del testamento, con tanto di denunce e indagini: ma una recente sentenza ha definitivamente assolto Tatiana e ha zittito le polemiche. È stato un periodo difficile?
«Tantissimo. Chi si è approfittato di Margherita in vita ha cercato di farlo anche dopo la sua morte. Ma chi le voleva bene, e ci voleva bene, ci è stato molto vicino. E alla fine la verità ha vinto».
Ogni volta che entri in Osservatorio a cosa pensi?
«A Margherita. Al suo sorriso. Al suo sguardo sulle cose. Su tutte le cose. Non era solo la donna delle stelle e dei gatti. Era, è, molto di più: ed è quello che non smetterò mai di narrare. E, spero, di interpretare».