Il Messaggero, 29 giugno 2018
Calcio senza scommesse, in rivolta i club di serie A
Il mondo del pallone è in fermento. La decisione del ministro del lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, di vietare le sponsorizzazioni delle squadre da parte delle società di scommesse, è considerata come uno sgambetto in grado di mettere in ginocchio l’intero sistema calcio. «Una misura inaccettabile», dice il presidente del Genoa Enrico Preziosi. «Dove si mira? A tagliare le risorse al sistema», ragiona l’imprenditore di Giochi Preziosi. Per Claudio Fenucci, amministratore delegato del Bologna, il divieto di sponsorizzazioni che dovrebbe entrare nel decreto dignità del governo, è «una follia.
Il calcio», spiega, «perderebbe immediatamente 100 milioni di euro di risorse». E si tratterebbe del danno minore, perché il mancato incasso di quei soldi «metterebbe a rischio tutta la filiera». Il direttore generale della Roma, Mauro Baldissoni, parla di un «provvedimento che sa di populismo, che trasformerebbe l’Italia in una enclave con il rischio del ritorno al toto nero». Ma la preoccupazione è soprattutto sulla tenuta del sistema.
L’ANALISI
Un’analisi pubblicata ieri dall’agenzia specializzata Agimeg, ha ricordato come nella Premier League inglese, la Lega calcio più ricca e seguita al mondo, il 45% dei club ha una società di gaming on line come sponsor sulla maglia, tutte hanno i cartelloni al led degli stadi con gli spot delle società di gioco, e tutte hanno accordi con le compagnie di scommesse. Il giro d’affari è notevole. «La seconda fonte di fatturato per le Tv che trasmettono partite di calcio in Inghilterra», spiega Agimeg, «viene dalla pubblicità durante gli eventi, mentre la prima voce di fatturato per le squadre di premier proviene dai diritti Tv. Eliminare le sponsorizzazioni», è il ragionamento, «equivarrebbe a far saltare il sistema».
Un filo logico che potrebbe essere seguito anche per il calcio italiano, che già registra un gap notevole rispetto ai più ricchi campionati europei. In Francia, per esempio, non solo ci sono le sponsorizzazioni, ma lo Stato redistribuisce parte del gettito delle scommesse alle squadre, che hanno più soldi da investire anche nel calciomercato. Insomma, eliminare le sponsorizzazioni, come vorrebbe fare il decreto dignità, trasformerebbe il campionato di calcio italiano in un campionato minore. Un problema connesso anche ai diritti Tv che tengono in piedi il calcio e il cui valore si ridurrebbe. Per adesso il decreto dignità, che contiene la norma sui giochi, si è arenato al ministero dell’Economia. La Ragioneria generale dello Stato ha sollevato il problema della copertura delle norme che Di Maio vorrebbe inserire nel provvedimento, compresa quella sui giochi. Secondo le simulazioni dei tecnici di via XX settembre, comporterebbe una riduzione di gettito di oltre 200 milioni l’anno.
NODI IRRISOLTI
In realtà c’è anche da capire la compatibilità delle norme con i dettati comunitari. Cosa accadrà, per esempio, quando una squadra inglese con sulla maglietta lo sponsor di una società di betting dovrà gareggiare con una squadra italiana? La partita potrà essere trasmessa? La bozza di decreto messa a punto da Di Maio, prevede una sanzione del 5% del valore della sponsorizzazione, con un minimo di 50 mila euro. Più che un divieto, in realtà, in questo modo sembrerebbe quasi una tassa sulle pubblicità dei giochi. Basterebbe pagare il 5% allo Stato per continuare a fruire della sponsorizzazione delle società di scommesse? C’è ancora un altro aspetto da considerare. Le società di scommesse che hanno una concessione da parte dei Monopoli di Stato (il cosiddetto «gioco legale»), non potranno fare nemmeno pubblicità on line, mentre i vari Google, Facebook, etc, potranno liberamente raccogliere le inserzioni dei bookmaker esteri non autorizzati in Italia, con il rischio di spostare raccolta all’estero.
I Cinque Stelle per adesso tirano dritto. «Lo stop alla pubblicità e sponsorizzazioni sul gioco d’azzardo», ha detto Davide Zanichelli, parlamentare grillino della Commissione finanze, «è il primo passo per far rientrare questo settore nella normalità dopo la liberalizzazione selvaggia degli ultimi 15 anni.
Una liberalizzazione», ha spiegato, «che nel 2017 ha portato gli italiani a gettare nel vortice del tentar la sorte 102 miliardi di euro l’anno con solo 9 miliardi di entrate per lo Stato. Un sistema che erode sempre più il reddito delle famiglie, con danni pesanti anche per l’economia sana e produttiva». Anche se andrebbe osservato che anche vietando del tutto il gioco non è detto che scompaiano anche i giocatori.