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 2018  giugno 27 Mercoledì calendario

«Caro Giovanni, torna da noi». L’alpino che riceve la lettera scritta da sua sorella nel 1944

Quando i sentimenti sono forti e veri, una lettera trova sempre il modo di arrivare: ed è quello che è successo ad un signore, 105 anni il prossimo 5 agosto, che si è visto recapitare una missiva inviatagli nel 1944 da sua sorella mentre era prigioniero di guerra in Germania.
Giovanni Pettinà l’ha ricevuta dalle mani di Maria, 94 anni ed insieme hanno pianto di commozione. Nel paese dell’alto Vicentino reso celebre da Libera nos a Malo di Luigi Meneghello, la storia della lettera ricomparsa tre quarti di secolo dopo ha il sapore di un romanzo a lieto fine, che si snocciola tra guerra e pace.
Inizia il 12 settembre 1943, quando il reggimento di Giovanni Pettinà viene fatto prigioniero dai tedeschi, in Albania. L’alpino rifiuta di unirsi alle file delle SS e per questo viene deportato in Germania, diventando un internato. I prigionieri politici e di guerra, in base alla Convenzione di Ginevra, avevano più diritti degli internati come Giovanni Pettinà, forza lavoro bruta destinata ad alimentare la macchina bellica tedesca. Potevano scrivere ai loro cari, ma raramente ricevevano le lettere dall’Italia. Il 19 agosto 1944 la sorella Maria gli scrive cercando di infondergli coraggio: «Caro fratello, ci giunse gradito il tuo scritto, sento che godi di ottima salute, come al presente tutti noi. Speriamo di rivederti presto tra noi». Ma a Pettinà questa lettera non arriva. «La corrispondenza non raggiungeva i prigionieri perché gli internati non avevano diritto a riceverla, ma anche perché spesso veniva bloccata in arrivo e in partenza dalla Repubblica di Salò, timorosa che si sapesse che 600.000 nostri connazionali lavorano come semi-schiavi in Germania», spiega Stefano Tortora, il ricercatore vicentino di storia militare (ha in progetto un sito con le lettere di guerra dei prigionieri) che l’ha trovata. Tramite uno storico locale di Malo, il professor Igino Colbacchini, la lettera è giunta alla famiglia: «La busta reca due timbri, quello della censura della Rsi e quella del campo di internamento. Quindi può darsi che sia arrivata, ma che non sia stata consegnata e rispedita in Italia».
Maria Pettinà, l’autrice della lettera, che a 94 anni vive ancora da sola, racconta: «La nostra era una famiglia di mezzadri, lavoravamo i campi di granturco e allevavamo bestiame. Una vita dura, non avevamo neanche il bagno, ma eravamo dignitose e pulite lo stesso, sa? Io sono l’ultima di cinque figli, mio fratello Giovanni era il maggiore. Sapevamo tramite le famiglie di altri soldati di Malo che era stato internato in Germania, allora nel ‘44 gli scrissi quella lettera, indirizzata al suo campo. Ma l’ha letta solo ora».
Commovente l’incontro e la consegna della lettera: «Guarda che non piango mica», ha scherzato Giovanni, che a 104 anni coltiva ancora l’orto e si fa la lavatrice da solo.
L’alpino è un fiume di ricordi: ha infatti combattuto su vari fronti, Africa compresa, prima di finire in Germania, nel campo di Krefeld, nella Renania-Vestfalia: «Sono scampato alla fame, al freddo e agli stenti solo grazie alla forza di volontà e all’istinto di sopravvivenza, che mi hanno consentito di tornare ai miei cari. Una volta ero felice perché in un campo trovai qualche patata: avrei potuto finalmente mangiare qualcosa di sano, ma mi furono requisite», racconta Giovanni. «Si lavorava anche 10-12 ore al giorno. E di notte a volte ci svegliavano, per tenerci in continua tensione».
Pettinà è tornato provato: «È stato un periodo duro, ma poi ho avuto una vita bella e piena». Gli fa eco la sorella Maria: «Mio fratello è sempre stato un gran lavoratore ed è ancora molto in gamba, pensi che si fa da mangiare da solo. La nostra è una famiglia semplice e unita: con mio fratello ci vediamo ci vedremo anche domani al mercato». Quando si chiede a Giovanni il segreto della sua longevità, risponde deciso: «Una vita normale, vissuta nel lavoro, con i sani principi che dovrebbero guidare l’esistenza di tutte le famiglie e delle brave persone, dovunque la civiltà vince sulla maleducazione». In fondo è tutto lì segreto: il «Libera nos a malo» della preghiera.