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 2018  giugno 28 Giovedì calendario

Così salveremo ape e cavoli

Immaginate un mondo senza api. Dalle piane della Sicilia sparirà l’aroma pungente degli agrumeti. Dei milioni di fiori di aranci, limoni e mandarini che riempiono l’aria con le loro note dolci, appena mielate, non rimarranno che pochi sterili esemplari. I fruttivendoli non avranno più fragole, né le primizie del sud né le produzioni tardive delle aree di montagna. La polpa dei meloni non si scioglierà più in bocca e diventerà un ricordo anche la succosa morbidezza delle albicocche. Niente più ciliegie, mele, pere, pesche, kiwi, castagne, susine e mandorle. E neppure aglio, pomodori, cetrioli, cavoli, ravanelli, asparagi, zucchine, carote, cipolle. Immaginate un mondo senza api e dite addio al cibo così come lo avete conosciuto: secondo la Fao senza le operaie oscure del sistema agricolo, 70 delle principali 100 colture del pianeta saranno cancellate dalle nostre tavole.
Se tutto questo – un mondo senza profumi e senza sapori – rimarrà una distopia, lo si dovrà ai contadini resistenti: persone che si oppongono all’agricoltura industriale, alle monocolture e all’uso massiccio di trattamenti fitosanitari. Infatti, anche se non esiste un’unica causa per la scomparsa delle api – in Europa la mortalità delle colonie si è attestata attorno al 20% – gli studiosi concordano che una delle più gravi sia l’uso massiccio di erbicidi: le piante infestanti, che da sempre nutrono gli insetti, vengono sterminate per aumentare la resa della terra. Inoltre, non si coltivano più le colture di copertura come il trifoglio e l’erba medica che arricchivano naturalmente il terreno fissando l’azoto e a loro volta nutrivano con i fiori gli insetti.
I resistenti, in qualunque angolo del mondo stiano lottando, sono paladini della biodiversità. Tutti citano una frase falsamente attribuita ad Albert Einstein: «Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra all’umanità non resterebbero che quattro anni di vita». Non importa che il grande fisico non l’abbia mai detto, è comunque vera: le api sono fondamentali per la salute della nostra catena alimentare.
In Italia, grazie al progetto “Bee the future” di Eataly, Slow Food, Università di Palermo e Arcoiris, azienda sementiera esclusivamente biologica, i resistenti hanno iniziato a lottare nelle zone intensamente coltivate a monocolture, regioni dove ogni centimetro di terra è sfruttato perché vale molti, moltissimi soldi. «L’industrializzazione del sistema agricolo rischia di trasformare anche la nostra campagna in un deserto alimentare – spiega Francesco Sottile, agronomo e docente del dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo –. I campi di mais in Piemonte, i territori del Prosecco in Veneto, la Pianura padana degli allevamenti intensivi di bovini, le monocolture di nocciole in provincia di Viterbo sono tutte aree colpite dalla moria degli insetti: per le api affamate di polline e nettare queste zone sono come un deserto». La situazione è seria e non riguarda solo la diminuzione della produzione del miele: dagli insetti impollinatori – oltre alle api anche i bombi, le farfalle, le falene e i sirfidi – dipende l’ 84% delle 264 specie coltivate in Europa.
Per questo Eataly, in collaborazione con Slow Food, ha contattato chi, nelle principali zone agricole italiane, sta portando avanti modelli virtuosi e gli ha affidato un miscuglio di semi italiani, biologici e non ibridi i cui fiori siano utili sia per la bottinatura delle api che per aumentare la fertilità del terreno. «Il miscuglio che abbiamo messo a punto – spiega Antonio Lo Fiego di Arcoiris, unica azienda sementiera italiana esclusivamente biologica – è composta da dieci piante: grano saraceno, trifoglio alessandrino, coriandolo, facelia, lino, senape, sulla, rucola, girasole, trifoglio incarnato. Sono piante adattabili ad ambienti diversi perché vogliamo convincere quanti più agricoltori possibili a ripristinare un angolo di biodiversità nelle proprie aziende». Ognuno è libero di seminare quanta terra vuole, ma l’obiettivo di Eataly, che finanzia il progetto, è riforestare 100 ettari in tre anni. «Io dedicherò tremila metri quadrati alle api», racconta Alessandro Romano che a Vignanello, in provincia di Viterbo, ha noccioli, castagni, viti e melograni. «Lo faccio perché la monocoltura sta distruggendo il nostro territorio e quindi il nostro lavoro». Insieme a Ezio Gnisci, ristoratore che nel suo “Vicoletto 1563” ha fatto della qualità delle materie prime e della biodiversità a tavola una missione, vuole dedicarsi anche all’apicoltura. «Il nostro progetto – continua Gnisci – è quello di produrre miele e attraverso una piccola filiera virtuosa dimostrare a chi nel viterbese sta trasformando le fattorie agricole in imprese industriali, che il vero futuro è l’agroecologia».
A primavera i primi venti contadini resistenti hanno seminato, altri si aggiungeranno e nei prossimi tre anni l’università di Palermo monitorerà i risultati. “Bee the future” non si rivolge solo ai professionisti: anche i privati potranno aiutare le api attraverso una selezione di fiori. «Semineremo le piante amiche anche nell’università – conclude Sottile – perché la resistenza che salverà le api e quindi l’agricoltura, il cibo e il mondo, dovrà per forza passare da ognuno di noi».