la Repubblica, 28 giugno 2018
Tokyo a colori, la casa del futuro che allunga la vita
«Questo è un concept che devi vivere», sembra lo slogan di un corso di yoga tantrico, invece è solo il modo in cui si viene introdotti nelle stanze del “The Reversible Destiny Lofts’a Mitaka” (Tokyo), il progetto realizzato attraverso l’applicazione della filosofia dell’“architettura procedurale” sviluppata da Arakawa e Madeline Gins e che mira a un unico scopo: stimolare i sensi.
I due coniugi (lui giapponese, lei americana) credevano che le opere architettoniche potessero migliorare il benessere personale. Al primo punto: quando entri in questa casa fallo come se fossi un bambino di due anni o un anziano di 100, quindi fai in modo di rallentare il tuo passo il più possibile. Sono regole che ricordano i codici di condotta dei samurai. Il pavimento non è allineato (si sale e scende), per di più disseminato di piccole e grandi collinette, che però con nostro stupore combaciano con la nuda pianta dei piedi (qui si entra scalzi). «La camminata ci viene insegnata dal terreno», spiega Matsuda, il 41enne manager delle società che gestisce l’abitazione e che parla per esperienza diretta visto che al primo piano c’è il suo ufficio.
Il corpo, come in certe arti marziali, è il fine stesso su cui si impone una manipolazione programmata e la casa diviene diretta estensione del medesimo. Come non ci sono ante non ci sono porte, non solo nelle stanze da letto ma neppure in bagno, eccetto un lieve telo per il box doccia dall’uso facoltativo.
Ma forse non bisogna attendere un nuovo cataclisma per testare i benefici di questa teoria fattasi casa, anche perché guardando al presente se ne scorgono altri, non nuovi, ma finora mai trattati alla radice. Ci riferiamo alla patologia dell’hikikomori che colpisce oltre un milione di giapponesi, quella sindrome che riduce gli adolescenti a isolarsi dal mondo nelle loro stanzette. Ecco che se in casa tutto è alla portata della vista e non ci sono stanze in cui chiudersi questo luogo può diventare l’incubo dell’hikikomori e allo stesso tempo quindi la soluzione alla sindrome stessa: l’hikikomori, una tendenza viziosa all’autoisolamento alimentata dalla tipologia di dimore nella quali si vive. In Giappone l’uso di finestre e balconi è limitato, i soffitti sono bassi, e gran parte delle case sono loculi di 10 metri quadri. È l’ambiente stesso che rende appunto dei reclusi.
Qui, nella casa che non conosce privacy, avviene l’esatto contrario, tutto il privato è messo in pubblico. A cominciare dalla propria cameretta che di colpo sparisce. Arakawa, l’ideatore di questi spazi, era un pittore molto ricco e famoso che di punto in bianco decise di dedicarsi all’architettura perché diceva, «al contrario della pittura è più vicina alle nostre vite». Da qui l’idea di creare una dimora che potesse apportare non solo benessere personale ma perfino longevità.