Corriere della Sera, 28 giugno 2018
«Vox populi» e quella gente comune strappata all’anonimato
Estate, tempo di teche. Anche Rai3 si affida alla preziosità del repertorio (dopo venti o trent’anni ogni cosa è illuminata, come gli album fotografici di casa), ma lo fa seguendo una sua antica vocazione: il sociale. «Vox populi», la striscia quotidiana di Luca Martera, ricompone il materiale delle teche secondo due criteri fondamentali.
Il primo, che si dispiega lungo un arco temporale che dal 1978, più o meno dall’introduzione del colore, arriva fino a oggi, è costituito dalla scelta di un tema che affondi le sue radici nella società: la famiglia, il lavoro, le vacanze, l’integrazione, i bambini, la maternità, l’istruzione, la sessualità, lo studio, il tempo libero e via elencando. Il secondo, più interessante, è che protagonista di questa rivisitazione è la gente comune, «catturata» dai vari telegiornali nel tentativo di strappare un parere. La gente comune non è solo protagonista nei reality o nei talk, lo è anche nel campo dell’informazione sotto le sembianze della vox populi. Sono volti anonimi (però, attraverso i social, chi si riconosce può poi dire la sua con un commento), sono i resti di interviste rubate per strada, sono fantasmi che per incanto diventano una sorta di passepartout del contemporaneo (e gli effetti in politica si sono già visti).
La partecipazione della gente comune, sullo sfondo o in primo piano, è una sfida, un elemento di imprevedibilità e di potenziale confusione, e insieme un punto di forza della tv moderna, capace di rafforzare il legame con l’audience dispersa in mille case e di regalare uno sguardo (o un’illusione) di realtà.
La tv non cerca nello spettatore l’individuo (quindi non si pone problemi etici, comportamentali), cerca semmai il suo individualismo, quella forza, cioè, che lo può spingere a uscire dall’anonimato, a dire la «sua», come se quell’opinione strappata appartenesse a una fantomatica saggezza popolare.