Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 28 Giovedì calendario

Messaggi, email, studi amici: così Google corteggia gli eurodeputati

BRUXELLES La multinazionale Usa Google sta estendendo perfino nel weekend in arrivo una massiccia campagna di lobbying, che addetti alle attività comunitarie definiscono «senza precedenti» in Europa, dove l’influenza dei gruppi di pressione è invadente e si diffonde a volte anche riservatamente per la carenza di efficaci regole di trasparenza e di controlli adeguati.
Il gigante di Mountain View punta a bloccare nell’Europarlamento la nuova normativa Ue sul diritto d’autore. Le imporrebbe di pagare per i contenuti in rete di editori, autori e proprietari del copyright in genere, finora utilizzati gratis. Rischia di perdere introiti ingenti e una parte del valore di Borsa.
Ma, insieme ad altre multinazionali della rete come Facebook o YouTube, un primo risultato sembra averlo raggiunto. Lunedì prossimo, all’apertura della sessione a Strasburgo, una mozione con 76 firme dei 751 eurodeputati dovrebbe chiedere di votare il testo approvato in commissione (con 14 sì, 9 no e 2 astensioni). Giovedì 5 luglio la maggioranza dell’Assemblea Ue dovrebbe decidere in aula se procedere o se introdurre modifiche a settembre.
L’opacità delle attività di lobbying a Bruxelles impedisce di capire se e quanto i lobbisti di Google abbiano influito nella redazione del testo complesso e «pasticciato» in vari punti. Di sicuro scontenta molti e, per motivi diversi, aumenta gli oppositori. Non si è coagulato il prevedibile ampio fronte anti-multinazionali Usa del digitale, sotto accusa nell’Ue anche per pagare tasse minime o quasi nulle ricorrendo ai paradisi fiscali. «L’esito del voto del 5 luglio è molto incerto perché i partiti sono divisi al loro interno per motivi a volte opposti – ha dichiarato al Corriere l’eurodeputata tedesca dei Verdi Julia Rada, annunciando di aver raccolto le 76 firme per la mozione —. Google si oppone perché non vuole pagare il copyright. Noi vediamo in altri punti un attacco alla libertà di espressione sulla rete».
In passato Google fu indicata da Transparency International come il gruppo che più aveva sviluppato contatti lobbistici con la Commissione europea, responsabile della proposta di riforma del diritto d’autore. Lobby con interessi opposti hanno fatto circolare indiscrezioni di ingenti finanziamenti di Mountain View a istituti universitari e di ricerca dei Paesi Ue più influenti (a partire da Germania e Francia), che avrebbero poi prodotto studi scientifici funzionali per difendere a Bruxelles gli interessi della multinazionale Usa.
Negli ultimi giorni le caselle di posta elettronica di eurodeputati sono state intasate da messaggi in sintonia con la linea di Google e Facebook. Sono arrivate perfino proteste di piccoli editori del settore «news digitali», sorprendentemente contrari a farsi pagare i diritti. Un piano multimilionario di Google, detto Digital news iniziative, li avrebbe convinti della loro convenienza a dissociarsi dagli editori tradizionali, schierati a favore delle nuove norme sul copyright in rete.
Queste strategie di lobbying aggressivo sono abituali durante l’elaborazione dei provvedimenti a Bruxelles, dove opererebbero oltre 11 mila entità di pressione istituzionale. Non sono attività illegali. Stavolta, però, sono diventate capillari e martellanti. E gli esiti del voto alla Camera Ue, la settimana prossima, appaiono destinati a far capire quanto spazio resta in Europa per varare leggi nell’interesse dei cittadini dei 28 Stati membri, quando sono coinvolti gli interessi di ricche multinazionali o di imprese potenti.