Avvenire, 28 giugno 2018
Gli aforismi di Umberto Saba
Che Umberto Saba sia poeta di risorse intellettuali maggiori di quanto apparirebbe da una ingenua vulgata che lo vuole cantore di Trieste (e una donna) e poco più, si era da tempo capito (testimoni d’eccezione, tra gli altri, Debenedetti, Muscetta, Fortini). Ed è la prosa a dimostrarlo, piuttosto che i versi, poiché il linguaggio discorsivo ha, su quello sintetico della poesia, almeno questo vantaggio: che mostra con più evidenza le nervature della cultura. A conferma esce a Trieste, per le edizioni dell’Istituto Giuliano di Storia Cultura e Documentazione, un volume a cura di Fulvio Senardi interamente dedicato alle Scorciatoie, gli aforismi scritti da Saba per la rivista “La Nuova Europa” nel 1945. Pubblicate da Mondadori l’anno seguente, le Scorciatoie incontrarono, e il poeta ne fu umiliato, un insuccesso bruciante.
Il libro – Nel mondo di Saba: Le scorciatoie di un poeta saggio (pagine 151, euro 15,00) – si basa sulle relazioni presentate a un convegno tenutosi a Trieste nel 2017, a 60 anni dalla morte del poeta triestino, avvenuta a Gorizia nel 1957. I contributi (di studiosi ben noti di Saba: Stefano Carrai, Paolo Febbraro, Paola Frandini, Gino Ruozzi, Fulvio Senardi; e inoltre di Anitha Angermaier, Edoardo Greblo, Alfredo Luzi) offrono un panorama completo del tessuto culturale (e dei presupposti psicologici) del poetaprosatore, un sopravvissuto che paga un debito di amore alla vita. Sfuggito d’un soffio alla persecuzione nazi-fascista, vero ebreo errante, Saba trascorre nella Roma liberata una breve stagione di grazia, sposando le speranze utopiche di un’Italia in cerca di riscatto e attraversata, come mai dopo, da una contagiosa passione civile.
Il “vento del Nord”, come si disse, galvanizza il sessantenne triestino e ne anima la penna di uno spirito ironico insieme graffiante e affettuoso. «Il cuore», scriverà, «batte a sinistra», la sinistra del Partito d’Azione e dei comunisti, con cui Saba condivide il sogno di rifare l’Italia, appoggiando forze politiche di cui probabilmente gli sfuggono tutte le ragioni ideologiche (sono del «partito dei psicanalisti», confessa in Storia e cronistoria del canzoniere, 1946). La lunga consuetudine con la psicanalisi, ancora di salvezza per l’inguaribile nevrotico, l’amore per Nietzsche (non quello dei nazisti, ma il precursore di Freud che «parla all’anima e di cose dell’anima») e un ebraismo profondamente interiorizzato gli forniscono strumenti per un rude contropelo ai pregiudizi, alle ipocrisie, alle falsità dell’animale uomo, che invita a guardare schiettamente in sé stesso per riconoscere la propria aggressività e salvarsi così dalla cupa sudditanza all’istinto di morte, in eterna contesa con la pulsione di vita, secondo il lessico freudiano che Saba fa suo.
Dopo la lunga notte di pazzia di una guerra non ancora conclusa («Patriottismo, nazionalismo e razzismo stanno fra di loro come la salute, la nevrosi, la follia»), mentre «dall’alto del suo altoparlante il dottor Goebbels attossica il mondo con la propaganda» (siamo nell’aprile ’45), Saba affronta la barbarie con dei minima moralia di scrittura raffinata: massime, sentenze, consigli, ammonimenti, riflessioni. Majdanek, il primo campo di sterminio liberato dagli alleati, simboleggia l’incubo da cui l’umanità deve risorgere: «Dopo Napoleone ogni uomo è un po’ di più per il solo fatto cheNapoleone è esistito. Dopo Maidaneck…», dove quei puntini di sospensione sono più eloquenti di tante parole. Dal lucido disincanto scaturisce una piena consapevolezza antropologica, via stretta ma necessaria verso una nuova etica.