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 2018  giugno 28 Giovedì calendario

Musica e gol, rivoluzione russa: il ritorno dell’altro Shostakovich, tifoso e vero fanatico dello Zenit

Il Mondiale di Russia si muove su corde speciali, a passo di danza, con formazioni che si trasferiscono direttamente sui pentagrammi e vengono messe in musica. Come è sempre stato nella terra che venera giocatori, ballerini, compositori e respira passioni che solo ad altre latitudini possono sembrare distanti. Qui il calcio e la cultura hanno una vita in comune e una vita pubblica che prescinde le passioni dei singoli e accompagna un’intera nazione.
Dal teatro Mariinsky, un simbolo dell’arte russa, escono foto di balletti in tutù e maglie da calcio, una messa in scena rivista e stroncata di The Golden Age datata 2006, anno di Mondiali pure quello e con l’Italia campione, ma a San Pietroburgo incrocio poco riuscito: omaggiare Shostakovich e il suo amore più grande, il pallone mentre tutti sono sintonizzati sui gol. Oggi ci riprovano, solo che il mondo è a casa loro e si sono preparati.
Lo spettacolo di 12 anni fa è stato un fallimento, la trama originale, scritta del 1929 e messa in musica proprio da Shostakovich, parlava di una squadra sovietica che si fa corrompere dall’Occidente in un fantomatico Paese, neanche troppo immaginario, chiamato Fascistolandia. Per rinfrescare la scena il racconto è stato ritoccato, trasformato e non ha retto. Quella storia, débâcle compresa, ora sta in un libro che diventa anche tour sui passi del grande compositore. E stavolta sì che è un trionfo. Shostakovich non ha solo, diverse volte, creato colonne sonore per il tifo, ma lo ha esaltato ed elevato a meravigliosa ossessione. Ha aperto una strada percorsa in Russia molto prima che altrove: gli intellettuali vivono di calcio, ne assorbono i tormenti, ne diffondono le manie, ne subiscono il fascino. 
Il libro
Dietro il libro Shostakovich e il calcio. Fuga per la libertà, appena tradotto in inglese, ci sono due persone: la terza moglie del compositore, Irina, custode della sua memoria e l’uomo che lo ha scritto, Dmitri Braginsky che ci accompagna a caccia di ricordi. Se si mettono insieme gli infiniti indizi raccolti da Braginsky in mesi di frenetica ricerca, si arriva dritto al cuore del tifo della Russia, in braccio a questi Mondiali. Dagli archivi Shostakovich escono agende cariche di numeri, non quaderni qualsiasi, una serie seguita a un regalo ricevuto nel 1945: cinque anni in una stessa pagina, per la medesima data che si replica nel tempo e Shostakovich ci ha scritto con maniacale attenzione i risultai dello Zenit San Pietroburgo (con tutti i nomi che ha avuto nel tempo), quelli dell’Unione Sovietica, le differenze reti, assist e rigori, successi, sconfitte e seccature «nove volte uno 0-0». Parole finissime ed elenchi continui. Ci sono sette diari zeppi. Un intero database.
Era insieme un genio, un amante dello sport, un fanatico del pallone. Non c’è concerto che insieme ai fogli con gli spostamenti, ai promemoria, non abbia anche urgenti richieste da stadio: «Per favore procurami due biglietti», oltre ai frequenti telegrammi, per tutte e tre le mogli (Nina, Margarita e Irina), con appuntamenti direttamente in gradinata: «Mi trovi alla partita, se vuoi venire il tuo ingresso è nel cassetto». E poi la collezione intera di Krasny Sport, diventato Sovetsky Sport, giornale per cui scriveva commenti». Spediva e riceveva lettere da calciatori famosi, il carteggio con Petr Dementyev, «il Maradona russo dell’epoca», è stato scoperto proprio da Braginsky: «Lo sgrida pure, gli dice che non ha giocato troppo bene ma che si rifarà.
 Il sogno mondiale
Quel che affascina è che Shostakovich non era affatto solo. Aveva tutta una cerchia di musicisti, artisti, scrittori con cui condivideva vera e propria fame di calcio, frenetico bisogno di stare insieme alle partite. Desiderava vedere i Mondiali in Inghilterra nel 1966, non so se lo avrebbero lasciato andare, forse, ma era in ospedale nell’estate in cui la Russia di Yashin è arrivata quarta. Aveva appena avuto un infarto».Il calcio lo ha anche portato più vicino al potere di quanto volesse. Il generale Beria gli ha chiesto la musica per la squadra dell’esercito, lui ha eseguito poi si è defilato. In un giugno al Lago Balaton, ha spaventato tutta la nomenklatura sovietica quando ha chiesto una barca. Erano convinti volesse scappare dal regime, lui cercava un posto lontano dalla folla e dai disturbi di frequenza, dove la radio non avesse interferenze: stava in Ungheria e voleva sintonizzarsi con lo stadio della Dinamo dove giocava la sua squadra. A San Pietroburgo che oggi palpita per i Mondiali anche dentro ai teatri.