La Stampa, 27 giugno 2018
Il miglior modo di viaggiare è ibernarsi. Il neurofisiologo Cerri studia come arrivare su Marte
Un viaggio nello spazio, della durata di anni. E un lungo sonno. Poi, il risveglio, ed ecco l’equipaggio pronto alla missione sul pianeta da esplorare. La Terra, lontana, è una stellina che si perde tra le migliaia di altre della galassia.
Uno scenario che oggi è da relegare alla fantascienza. Quella che, 50 anni fa, nel 1968, portava sul grande schermo «2001 Odissea nello Spazio» di Stanley Kubrick: eppure è uno di quei film che, più che sulla fantascienza, si sono basati su ciò che la scienza avrebbe realizzato. Non a caso il kolossal si ispira al romanzo di uno scienziato, Arthur Clarke, che in «2001» anticipava navette che attraccano a basi orbitanti attorno alla Terra insieme con sbarchi lunari e computer che si ribellano all’uomo.
Il capolavoro di Kubrick
Molto di ciò che il capolavoro di Kubrick ha esibito in modo spettacolare si è concretizzato. Ma sono rimasti in sospeso alcuni scenari estremi. Come quelli di uomini in capsule antropomorfe, immersi nel sonno. «L’ibernazione potrà essere un importante sviluppo in vista dei futuri viaggi spaziali – dice spiega Matteo Cerri, neurofisiologo dell’Università di Bologna -. Soprattutto per quelli della durata di molti anni, ma anche per un viaggio su Marte. L’ibernazione su noi umani, in effetti, è allo studio». Cerri è consulente dell’Agenzia Spaziale Europea e, oltre all’ibernazione, i suoi studi si estendono all’epistemologia e alla neuroetica. A dimostrazione del fatto che c’è molta scienza (e non solo fantascienza) nelle sue ricerche, le collaborazioni si estendono ai laboratori più prestigiosi: oltre all’Esa, quelli dell’Infn. Per raccontare questo futuro prossimo venturo è intervenuto, a Torino, alla conferenza «Alla conquista del Pianeta Rosso: come l’ibernazione e la stampa 3D ci porteranno su Marte». Nell’ambito dell’iniziativa «Insolita Scienza» all’evento hanno partecipato anche Tommaso Ghidini, capo della divisione strutture, meccanismi e materiali dell’Esa, e Vincenzo Giorgio, amministratore delegato di Altec.
«Siamo all’inizio, in una fase sperimentale – aggiunge Cerri, che alle attività di laboratorio affianca quelle di divulgatore, nel blog “Cerriblog” e nel podcast “Elevatore di pensiero”. – Però siamo partiti. Il termine ibernazione lo si associa al congelamento di un essere vivente. E, invece, significa letargo, proprio come quello dei ghiri e degli scoiattoli. Ora stiamo cercando di comprendere come e se l’uomo può andare in letargo. E, infatti, proprio negli animali che vanno in letargo studiamo le analogie con l’uomo».
Gli inizi suonano promettenti. «Anche se lavoriamo su dati preliminari – precisa – le indicazioni sono favorevoli. Un uomo potrebbe probabilmente andare in letargo per lungo tempo. Il risveglio, invece, sarà una fase più delicata, simile al risveglio da un sonno profondo. Ma in seguito l’organismo riprenderebbe a funzionare regolarmente e, forse, meglio di prima».
«Sarà una missione della durata media di tre anni – osserva il ricercatore -. Un problema sarà quello delle enormi scorte per l’equipaggio. Con un sonno di nove mesi, invece, si potrà arrivare sul Pianeta Rosso più facilmente e anche il danno da radiazioni sull’organismo verrebbe ridotto. L’ibernazione potrebbe porre davvero le basi per una colonia marziana». Intanto le ricerche, qui sulla Terra, proseguono. E coinvolgono gli assideramenti accidentali. «Successe a una norvegese, che cadde in un lago ghiacciato alcuni anni fa. E vi rimase per circa un’ora – racconta Cerri -. La sua temperatura, quando fu recuperata, era di appena 13,8 gradi. Eppure è sopravvissuta e oggi sta benissimo. Non sappiamo cosa permetta di scampare alla morte in condizioni fatali per la maggior parte delle persone, ma il segreto potrebbe nascondersi nel modo in cui l’organismo “accetta” il raffreddamento, riducendo il metabolismo».
Meccanismi biologici
Ecco perché suscitano interesse i meccanismi biologici coinvolti. «Quella del lungo sonno – osserva Cerri – è una nuova frontiera nella medicina: potrà funzionare per operazioni chirurgiche delicate e condizioni critiche come lo shock settico. La fisiologia dell’organismo si modifica drasticamente – aggiunge Cerri -: il cervello va incontro a un riarrangiamento sinaptico che, una volta chiariti i meccanismi, potrebbe essere d’aiuto nella cura delle neurodegenerazioni. E anche le cellule tumorali arrestano la loro replicazione, elemento che potrebbe essere sfruttato per sviluppare cure avanzate». Cerri conclude così: «Siamo all’inizio, ma siamo partiti e intendiamo proseguire. Il mio è un sogno che coltivo quando ero un ragazzo, appassionato di scienza».