La Stampa, 27 giugno 2018
Lenny Kravitz: «Fate come me: scegliete di essere più riflessivi spirituali e amorevoli. Basta pensare a confini»
Lenny Kravitz è partito lo scorso 22 giugno dalla Wembley Arena di Londra per un tour che fa da apripista all’uscita del nuovo album Rise Vibration, prevista per il 7 settembre ma già anticipata da due singoli dal forte impatto: It’s Enough e Low. La caratteristica di quest’ultimo sta nell’uso del campionamento della voce di Michael Jackson che, in vita, è stato uno dei migliori amici di Kravitz. L’estratto originale arriva dalle registrazioni che i due fecero insieme mentre erano al lavoro su (I Can not Make It) Another Day. «Molte persone appena ascoltato Low mi hanno detto: Hey, stai imitando Michael Jackson! Invece non è così. A Michael piaceva quando lavoravamo insieme e fra i tanti provini mi era rimasta nel cassetto quella traccia perfetta per il brano».
Lenny sarà in Italia il 16 luglio all’Arena di Verona, il 18 al Lucca Summer Festival e il 28 al Festival Collisioni di Barolo nelle Langhe. Lo abbiamo incontrato nella sua casa di Parigi per un’intervista esclusiva che andrà in onda su Rtl 102,5 a settembre in concomitanza con l’uscita del disco.
Sono passati quattro anni dal suo ultimo disco «Strut», la si vede poco in giro, non fa quasi mai parlare di sé a meno che non debba presentare un progetto che spesso ha poco a che fare con la musica visto che si interessa anche di architettura di interni, sceneggiature, regia, cinema. Perché la necessità di defilarsi?
«È il mio modo di reagire nei confronti della vita frenetica di questi anni. Non vado alle presentazioni ufficiali, sui red carpet importanti, alle manifestazioni più glamour ma, mi creda, quelle cose le ho già fatte tutte. Ho 54 anni e so esattamente qual è il valore del tempo libero. Oltre alla musica e al cinema da anni ho fondato la “Kravitz Design” grazie alla quale ha creato una linea di sedie per Kartell e un lampadario per Swarovski chiamato “Casino Royale”. Insomma, ho da fare».
«Low» è la canzone che ha dato il via al nuovo progetto e lei stesso ha detto che è il pezzo che l’ha convinta a lavorare su un album di inediti dove il titolo, “Rise Vibration”, fa intendere la volontà di scuotere le coscienze.
«La vibrazione sottolinea la musica, il movimento. Quando al mio debutto nell’89 scrissi il disco Let Love Rule (lasciate comandare l’amore, ndr) ho poi fatto in modo di vivere secondo quella regola. È la stessa idea che c’è dietro Raise Vibration. Sto facendo una scelta consapevole e noi tutti dobbiamo raggiungere un livello più alto, essere più riflessivi, spirituali, amorevoli e aperti. Smettere di pensare a confini, alle scatole e alle forme immaginarie di separazione. Siamo tutti insieme sul pianeta Terra. Dobbiamo fare meglio di chi ci governa».
Il riferimento al presidente Donald Trump è ovvio.
«Comunico attraverso la musica e creo per ispirare me stesso ma, se posso ispirare gli altri, allora questa è cosa buona e giusta».
Insieme al suo chitarrista Craig Ross, ha coprodotto l’album, suonato tutti gli strumenti dalla chitarra al basso alla batteria, il pianoforte sino ai bonghi, al glockenspiel, il Moog, il Fender Rhodes, il Coral Sitar, la Kalimba e altro ancora. Viene da pensare a ciò che ha fatto Prince per tutta la sua vita. Fare tutto da solo è un dictat imprescindibile.
«Prince, Dio lo abbia in gloria. Una volta che ho messo giù la prima idea, mi sentivo collegato con qualcosa di superiore, sentivo di essere arrivato in una specie di paradiso della musica. Quando si arriva in quel luogo le porte si aprono e le canzoni mi arrivavano al cervello nel cuore della notte; l’album è nato così».
Il singolo «It’s Enough» si distingue come una delle composizioni più lunghe della sua storia musicale, oltre sette minuti di pensieri per lo più apocalittici sullo stato delle cose e sulla politica. Lei dice: «Ne ho abbastanza di razzismo e di persone di colore trattate in modo diverso e uccise. Ne ho abbastanza di guerra. Ne ho abbastanza della distruzione dell’ambiente. Dobbiamo rimetterci in carreggiata per andare avanti attraverso una maggiore comprensione».
«I governi sembrano pensare che la via verso la pace sia la guerra. È spaventoso. Il cervello umano è una cosa meravigliosa e sorprendente capace di creare così tanta bellezza eppure, a tutt’oggi, non abbiamo ancora trovato il modo di risolvere una disputa senza l’uso della violenza».
Nel disco dedica una canzone a Johnny Cash, uno dei padri del rock’n’roll. Perché?
«Johnny Cash è uno dei momenti più intimi non solo dell’album ma della la mia carriera perché racconto il giorno della scomparsa di mia madre. Mia mamma (l’attrice Roxie Rocker, famosa a cavallo fra i ‘70 e gli ‘80 per la serie I Jefferson) combatteva contro il cancro, stava male e per questo ero tornato di corsa a Los Angeles dal tour, ma vivevo a casa del produttore Rick Rubin, quindi un po’ distante. Ricordo che andai direttamente all’ospedale dall’aeroporto e trascorsi tutto il giorno con lei. A sera la salutai con un bacio ma una volta arrivato a casa qualcuno mi diede un biglietto: l’ospedale aveva chiamato e mia madre era morta. Stavo scendendo le scale in lacrime e mi trovai davanti Johnny Cash e sua moglie June Carter che erano da Rick per registrare il loro disco. Li guardai, dissi che mia madre era appena morta e loro mi afferrarono, mi trattennero e mi consolarono. Erano le uniche persone lì e per un momento divennero la mia famiglia. Nella canzone chiedo a qualcuno di tenermi come Johnny Cash e di sussurrarmi all’orecchio come ha fatto June Carter».
Secondo quanto ha rivelato a «Variety», Dr. Dre sta lavorando a una biopic sulla vita di Marvin Gaye. Sappiamo che si era fatto avanti anche lei per un progetto simile.
«Sì ma non se ne era fatto nulla. In bocca al lupo a Dre e se vorrà chiamarmi per una parte sono pronto. Marvin è stato il padre di tutti quelli come me ed è giusto che lo si celebri».