La Stampa, 27 giugno 2018
Le mani della Jihad sui giacimenti di gas del Mozambico
Il terrorismo di matrice jihadista non conosce più confini in Africa. Aumentano gli affiliati e le sigle, si intensificano gli attacchi e si sconfina in aree del continente mai raggiunte prima. A soccombere questa volta è il Nord del Mozambico, una delle regioni più paradisiache e pacifiche dell’intera Africa Australe. Mai rivendicazioni armate spinte da motivazioni religiose si erano verificate nella zona di Cabo Delgado, dove il 58% della popolazione è musulmana, all’interno di un Paese a maggioranza cristiana. Dall’inizio dell’anno oltre 20 attacchi sono stati registrati, più di 50 persone sono state uccise e centinaia di case date alle fiamme con modalità molto simili a quelle già viste nel Nord-Est della Nigeria o in Somalia ad opera di Boko Haram e Al-Shabaab, i due gruppi jihadisti più attivi in Africa. Donne e bambini decapitati a colpi di machete da uomini con turbanti bianchi, testa rasate e barbe folte. Queste sono le prime testimonianze che arrivano dalla remota regione di Cabo Delgado al confine con la Tanzania.
I seguaci del Profeta
I responsabili sarebbero i guerriglieri di Ahlu Sunnah Wa-Jama (i seguaci delle teorie del Profeta in arabo), prima formazione jihadista in Africa Australe con meno di tre anni di vita, ma che dispone già di un centinaio di cellule sparse sul territorio. Un gruppo composto per lo più da giovani mozambicani di etnia Mwani, disoccupati, analfabeti e stanchi delle promesse di inclusione sociale non mantenute dal governo di Maputo distante 1800 chilometri, ma anche da guerriglieri infiltrati dalla vicina Tanzania addestrati e indottrinati nella regione dei Grandi Laghi, in grado di finanziare la guerriglia attraverso il traffico illegale di avorio, legname e rubini, di cui la zona è ricchissima.L’ultimo episodio alcuni giorni fa a Maganja, pochi chilometri da Palma: 5 morti e centinaia di sfollati. Non un luogo a caso.
Gli interessi in gioco
Questo nuovo fronte, infatti, difficilmente si trasformerà nell’ennesima crisi dimenticata africana. Gli interessi in gioco sono altissimi a livello internazionale, ma anche italiano. A largo di Palma, nel bacino marittimo di Rovuma, 7 anni fa è stato scoperto un giacimento di gas naturale liquido (Gnl) da 2400 miliardi di metri cubi. Un tesoro da 30 miliardi di dollari, in grado di trasformare il Mozambico in una potenza energetica capace di esportare 20 milioni di tonnellate all’anno di gas e rimpinguare le indebitate casse pubbliche. Una partita che vede tra i protagonisti anche l’Eni che ha investito 8 miliardi di dollari per acquistare i diritti di estrazione nell’Area 4 del bacino che contiene 450 miliardi di metri cubi di Gnl e che dal 2022 dovrebbe garantire una produzione di 3,4 milioni di tonnellate all’anno. Una quantità che sarebbe sufficiente a rifornire per 20 anni il fabbisogno energetico di Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna.
Le risorse
Nell’ottobre del 2016, Eni, ha firmato un accordo vincolante ventennale con la British Petroleum che prevede la vendita dell’intero ammontare dei volumi di Gnl prodotti nell’impianto galleggiante di Coral South, come è stato rinominato l’intero progetto, e che dal Mozambico prenderanno la via dell’Asia. La minaccia jihadista non preoccupa solo Eni, anche se l’azienda ha fatto sapere che al momento «le problematiche di sicurezza non impattano il progetto», ma anche i colossi petroliferi americani come ExxonMobil e Anadarko. Il primo ha acquistato, nel dicembre 2017, proprio da Eni, il 25% dell’Area 4 della riserva di gas per un valore pari a 2,8 miliardi di dollari e sarà responsabile della costruzione e della gestione degli impianti di liquefazione di gas naturale a terra, al contrario di Eni che realizzerà l’impianto galleggiante per la liquefazione e lo stoccaggio di Gnl. Anadarko, invece, si è accordata con il governo mozambicano per la gestione dell’Area 1 del giacimento per una cifra tra i 14-15 miliardi di dollari e ha fatto trapelare tutta la sua preoccupazione attraverso l’ambasciata americana a Maputo, anche se ha smentito le voci su un possibile abbandono del progetto.Oltre alla sicurezza nazionale ci sono in ballo interessi economici enormi che garantirebbero al Mozambico di investire una fetta dei proventi per far uscire almeno parte del 65% della popolazione che vive ancora in povertà estrema.