il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2018
L’Olimpiade dei cretini
Oltre a tutti i problemi che conosciamo – l’alleanza con Salvini, le scarse risorse per mantenere le promesse, la penuria di classe dirigente e democrazia interna, l’ostilità preconcetta dell’establishment che si butta a pesce sulla Lega per sopravvivere – i 5Stelle ce la stanno mettendo tutta per crearsene di nuovi. Il più evidente è quello che Fruttero e Lucentini chiamavano “la prevalenza del cretino”. Intendiamoci bene, a scanso di equivoci e di querele: non stiamo dando del cretino a nessuno, stiamo parlando del cretinismo imperante che diventa sottofondo, scenografia, atmosfera sommando dichiarazioni, annunci, voci dal sen fuggite, scelte politiche. Prendiamo i consiglieri comunali che votano la proposta del centrodestra di intitolare una strada di Roma al fascistissimo Giorgio Almirante. Primo sputtanamento. Poi la sindaca Virginia Raggi blocca tutto (si spera che ci riesca) e chi ha votato sì si giustifica col fatto di non aver capito chi fosse Almirante a causa della giovane età. Secondo sputtanamento. Ora, benedetti ragazzi: è tanto complicato digitare “Giorgio” e “Almirante” su Google? O alzare il telefono a chiamare qualcuno che sappia chi era?
Prendiamo il neosottosegretario all’Interno Carlo Sibilia. Da quando, nel 2014, definì “una farsa” lo sbarco sulla Luna, è ricordato da tutti per quella bella uscita. E ha avuto quattro anni per prepararsi un po’ meglio. Risultato: alla prima intervista da sottosegretario, ribadisce che l’allunaggio è “un episodio controverso”. Non c’è nemmeno bisogno di tendergli trabocchetti: ci pensa lui da solo. Ora si fanno avanti una decina di consiglieri comunali a Torino, che da mesi mettono in croce la sindaca Chiara Appendino per la candidatura alle Olimpiadi invernali 2026, portandola sull’orlo delle dimissioni. Quel che pensiamo delle Olimpiadi l’abbiamo scritto mille volte, non per simpatie o antipatie, ma sulla scorta di studi scientifici come quello celeberrimo di Oxford. Dimostra che negli ultimi 50 anni i Giochi hanno registrato uno sforamento medio del 257% fra budget iniziale e costo finale, sia per le edizioni estive, sia per quelle invernali (796% Montreal, 417 per Barcellona, 321 Lake Placid, 287 Londra, 277 Lillehammer, 201 Grenoble, 173 Sarajevo, 147 Atlanta, 135 Albertville, 90 Sydney, 82 Torino, 51 Rio). Gli extra-costi non ricadono mai sul Cio, l’unico a guadagnarci sempre e comunque, ma sugli Stati e le città ospitanti, i cui residenti han dovuto ogni volta sobbarcarsi imposte e balzelli aggiuntivi nei 20 o 30 anni successivi per assecondare le fregole faraoniche dei loro governanti.
Gli esperti la chiamano “maledizione del vincitore”: chi vince la candidatura perde miliardi e va in rovina, e per una manifestazione certamente bella, ma di brevissima durata (15 giorni o un mese).
Un altro studio, quello dei ricercatori Massiani e Ramella per lavoce.info, esaminano le Olimpiadi invernali di Torino 2006. Tra il 2001 e il 2007 il Pil del Piemonte era cresciuto del 6,4%, contro il 9,1 dell’Italia intera. Passata la festa, dal 2008 al 2013, il divario anziché ridursi si allargò vieppiù: l’economia italiana calò dell’8,5% e quella piemontese dell’11,6. Intanto Torino divenne la seconda città più indebitata d’Europa (5 miliardi di buco) e fu costretta a tagliare i servizi e alzare le tasse. Per questi motivi, la Raggi rinunciò alla candidatura olimpica. Ora invece l’Appendino chiede al Coni e al governo di candidare Torino, e non Milano o Cortina, per i Giochi invernali del 2026, perché una volta tanto il rischio di andare in profondo rosso in nome del panem et circenses è scongiurato in partenza: Torino potrebbe riutilizzare nel 2026 le strutture costruite per il 2006 (e da allora perlopiù inutilizzate e abbandonate) e anzi ammortizzare con i nuovi finanziamenti del Cio i costi altissimi di manutenzione e ristrutturazione. Eccezionalmente le previsioni nere di Oxford e de lavoce.info potrebbero non avverarsi, con un’operazione a costo (e cemento) quasi zero, perché a Torino il danno ormai è fatto, e tanto vale farlo fruttare. Cosa che non accadrebbe a Milano e Cortina, che dovrebbero ricominciare tutto daccapo.
Eppure non sono bastati nemmeno il via libera di Grillo e gli interventi dei ministri Fraccaro e Toninelli per far ragionare i consiglieri ribelli, pronti a mettere a repentaglio addirittura la (loro) giunta Appendino per un’ostilità ideologica che non trova riscontro nei numeri e nella realtà. Se si tratta solo di discuterne in Consiglio comunale, come chiedono alcuni dissidenti, lo si faccia subito, possibilmente entro il 10 luglio quando il Coni dovrà inviare la proposta al Cio. Ma poi si decida, possibilmente sulla linea della sindaca e di tutte le persone ragionevoli. Il guaio è che spesso, tra i 5Stelle, c’è chi compie sforzi disumani non per marcare sacrosantamente la propria “diversità” dalle lobby degli affari e del cemento. Ma per somigliare al ritratto fumettistico e macchiettistico che del M5S fanno i giornaloni: un’accozzaglia di mezzi matti che dicono di no a tutto perché non sanno fare nulla. Lo si disse della giunta Raggi, quando salvò la Capitale dal disastro delle Olimpiadi 2024. E quando poi dimostrò di non essere pregiudizialmente ostile alle opere pubbliche (lo stadio della Roma, opportunamente dimagrito), si trovò il modo di fucilarla lo stesso. Ora la stessa occasione di smentire la black propaganda ce l’ha Chiara Appendino, sempreché i suoi nemici interni non trasformino un’altra volta i 5Stelle in quello che i media vorrebbero che diventassero. Nel qual caso, non resterebbe che una celebre battuta di Aldo Fabrizi: “Se scoppia la guerra dei cervelli, tu parti disarmato”.