La Stampa, 26 giugno 2018
L’arte aumentata. Tecnologia all’opera
Il museo che non c’è avrà il suo indirizzo futuro da qualche parte tra il telefonino, Google maps e il cielo. In senso letterale. Nel cielo africano del Malawi sono state avvistate, come fossero Ufo, le opere dell’artista Nancy Cahill, somiglianti a gomitoli di grafite in sospensione, sorta di esplosioni congelate. Le strane figure sono apparse pure sul Lago Erie, tra Usa e Canada, o per le strade di Londra. Certo, per vederle era necessario scaricare sullo smartphone l’applicazione 4thWall, creata dall’artista insieme ai Drive Studios di Los Angeles, puntare la telecamera e godersi lo show della realtà aumentata dall’arte sul display. Oppure guardarsi la replica su Instagram.
La realtà aumentata è l’ultima frontiera tecnologica dell’arte contemporanea. Un confine in movimento continuo. Cahill spiega che è un’arte che si sposta e cambia con il suo fruitore. Un suo disegno tridimensionale si è fatto un giro sul nastro dei bagagli dell’aeroporto di LA. «Voglio che chiunque guardi una mia opera abbia un’esperienza paragonabile al visitatore di un museo». Solo che qui il visitatore allestisce la sua mostra personale, sullo sfondo che preferisce.
I conigli di Lo Svizzero
Non è sempre così. L’artista romano Franco Lo Svizzero, all’anagrafe Andrea Bezziccheri, sta lavorando al progetto di un museo in AR (Augmented Reality) in Italia. La location è ancora segreta, come la mappa di un rave party, da rivelare all’ultimo momento. «Potrebbe essere una miniera abbandonata o una struttura di archeologia industriale» dice l’artista. In questo caso, le immagini, sovraimposte sullo scenario reale, si potranno vedere solo nel luogo scelto dal loro autore. Lo Svizzero, nell’attesa del museo, ha appena presentato a New York un progetto simile a quello di Nancy Cahill, un’app presente su una serie numerata di tablet (in collaborazione con la galleria Pio Monti di Roma) che fa comparire all’improvviso una donna-coniglio, immagine feticcio di Bezziccheri. «Il riferimento è al Bianconiglio di Alice, la cui tana è il passaggio per una realtà onirica, ma pure alla porta alchemica di piazza Vittorio a Roma». L’immagine della donna-coniglio è interpretata da una modella reale, nuda, a parte la maschera di coniglio che le nasconde la faccia. Nessun problema se l’epifania avviene sull’erba, come nel racconto di Lewis Carroll.
Senza contare la possibilità che l’apparizione diventi virale, cosa che gli artisti auspicano, naturalmente. E che i social cercano. Snapchat, diventato famoso grazie ai messaggi che scompaiono senza lasciare (quasi) traccia, ha lanciato una open call ad artisti di tutto il mondo per presentare opere da geolocalizzare sulla funzione di realtà aumentata disponibile sul menu. L’esperimento è cominciato con un divo dell’arte contemporanea, il pervasivo Jeff Koons. Attraverso «Lenses for Snapchat», le sue sculture pop sono apparse in diversi spazi pubblici del pianeta. Non tutti gli utenti del social hanno applaudito. Un artista cileno, Sebastian Errazuriz è rimasto infastidito da un suo Balloon Dog, adagiato sull’erba di Central Park a New York. In una perfetta parabola post-internettiana, Erraruziz ha hackerato il cane gonfiabile e vi ha inserito delle tag di protesta. Insomma: graffiti digitali. «È una presa di posizione simbolica contro l’imminente invadenza della realtà aumentata da parte delle grandi società e dei marchi» ha scritto il cileno sul sito Hyperallergic. Implicita anche la critica all’uso degli artisti come influencer. Le grandi firme dell’arte contemporanea usano e talora saccheggiano i social, come nel caso di Richard Prince, che ha utilizzato immagini pescate su profili Instagram.
L’interesse di Google
Oltre a Snapchat, tra i colossi di Internet, Google è tra i più interessati al rapporto tra arte e realtà aumentata. Ha già creato un pennello virtuale, il Tilt Brush, per dipingere in 3D, usato da artisti come Cahill. Un’artista italiana, Chiara Passa ha elaborato opere concettuali che increspano il mare di Ostia, attraverso Google Earth, che permette zoomate a precipizio sulla superficie terrestre. Nei cassetti (digitali) ci sarebbe un progetto per geolocalizzare opere d’arte in AR su Google Maps, strumento molto usato per trovare indirizzi reali. «Potrebbe diventare una nuova forma di Land Art» ragiona Cristiana Perrella, neo-direttrice del Museo Pecci di Prato, che ha in programma una mostra sulla generazione di artisti cresciuti con Internet. La realtà aumentata potrebbe modificare il sistema dell’arte? «Potrebbe affiancarsi a quello esistente, ma non sostituirlo, l’esperienza dell’arte è sinestetica, coinvolge diversi sensi».Ma a chi appartiene la nuova dimensione tra reale e virtuale? Vedremo statue in AR di giovani artisti sugli spalti del Colosseo? «Vedo grigia la difesa di un paesaggio culturale vasto come quello italiano. Una cosa è bloccare un’installazione nei Fori Romani, un’altra è rimuoverla dalla Val d’Orcia. Allo stesso tempo è un’opportunità» spiega l’architetto Raffaella Strati, responsabile della Soprintendenza dall’area metropolitana di Roma. Per ora non ci sono gli strumenti legali per rimuovere l’arte immateriale indesiderata. «Certo, dal punto di vista tecnico sarà più semplice rispetto a una colata di cemento» Ma dalla nuvola digitale nulla sparisce mai del tutto. Il paesaggio trasformato potrebbe moltiplicarsi nel web in una infinita galleria di specchi.