«Pelusa è dura come l’acciaio.
Forte e tenera insieme», s’inorgoglisce lui.
CARMEN YAÑEZ: «Avevo quindici anni quando conobbi Lucho, tre meno di lui. Era stato mio fratello a presentarci».
LUIS SEPÚLVEDA «Ah sì, il figlio del re degli zingari…. . Un ragazzo molto simpatico. Mi aveva raccontato un sacco di balle pur di vivere con me in una casa di artisti bohémien. In cambio mi presentò le sue due sorelle: una bruttina, l’altra di bellezza straordinaria».
CY «Lucho, ma che dici?».
LS «Io all’epoca indossavo un poncho, un berretto e una faccia di grande sofferenza.
Facevo il poeta tormentato…».
CY: «Mi colpì la sua personalità enigmatica. E poi la sua barba fluente, i capelli lunghi…».
LS: «Enigmatico io? Non mi sembra l’aggettivo giusto».
CY: «Sì, eri misterioso».
LS: «Mi guardavi con un interesse profondo. Forse perché godevo di una sorta di prestigio come poeta sociale».
CY: «Eri anche molto romantico. Rubavi i fiori nei giardini per portarmeli a scuola. E mi scrivevi poesie.
Ancora conservo quella in cui mi auguravi un futuro da poeta. Era l’8 marzo del 1968».
LS: «Allora militavo nella sezione più battagliera del partito socialista. I compagni accolsero Carmen come una di loro. E il nostro impegno politico divenne totale».
CY: «Dopo un paio d’anni decidemmo di andare a vivere insieme. E di fare un figlio come suggello della nostra unione».
LS: «Il matrimonio non era nei nostri progetti: furono i suoi genitori a imporcelo. Il padre di Pelusa era un operaio comunista molto forte. Un amico mi aveva avvertito: sii cauto, è abituato a piegare l’acciaio. “Vero che hai messo incinta Carmen?”. “Vero”. E io pensavo: ora mi stende. “E che intenzioni avete? Sposarvi?”.
“Sì, se non ne possiamo fare a meno”. Ora parte con un gancio sinistro... Invece lui mi diede una manata sulla spalla.
“Adesso giovanotto pensiamo alla festa!”».
CY: «Un uomo dal cuore d’oro.
Per le nozze organizzò un banchetto formidabile. Era l’11 settembre del 1971».
LS: «Esattamente due anni dopo sarebbe arrivato l’inferno. Il golpe e la dittatura di Pinochet. Carmen e io non vivevamo più assieme. La politica ci aveva unito e poi diviso».
CY: «Mi giudicavi un’estremista».
LS: «Hai cominciato a dire che quello di Allende era un governo borghese. E io cercavo di spiegarti che era un’esperienza rivoluzionaria.
Noi abbiamo una storia diversa dagli altri paesi dell’America Latina».
CY: «Avevo bisogno di ritagliarmi uno spazio autonomo, sennò avrei rischiato di diventare la tua ombra».
LS: «Questo lo capisco, ma mi dispiaceva che la mia compagna criticasse ciò che stavo costruendo. Le discussioni diventavano sempre più crudeli.
Decidemmo di prendere ciascuno la propria strada».
CY: «Ma il giorno del golpe Lucho riuscì a passare a casa per dare un bacio a me e a Carlos. Molti compagni cercavano di fuggire. Noi non ci abbiamo mai pensato».
LS: «Credo che non tutti avessero la capacità fisica di resistere. Noi ci sentivamo forti, con quella energia che ti viene dall’essere dalla parte giusta della storia».
CY: «Furono giorni terribili.
Lucho fu arrestato e io per settimane non seppi più nulla». LS: «Avevi paura che fossi morto?».
CY: «Sì. Anche se restava viva la speranza. Sentivo però che il cerchio si stava stringendo. E una mattina arrivò a casa la polizia. Eravamo in tanti, ma io istintivamente capii che era per me».
LS: «Seppi dell’arresto di Carmen durante la mia latitanza. Ero sconvolto. Non volevo che vivesse l’inferno che avevo conosciuto io. Andai a parlare con Raúl Silva Henríquez, il benemerito cardinale che aveva creato la Vicaria de la Solidaridad, unico rifugio per i parenti delle vittime. “Se entro breve non ho notizie della mia compagna, mi lascio esplodere con la dinamite…”».
Carmen resta silenziosa. Non ama raccontare le torture subite a Villa Grimaldi, evocata solo nei versi delle sue poesie («molte bende insanguinate el’odore inconfondibile della paura, prima di inaugurare l’assenza»). Si salvò perché creduta morta e gettata via.
CY: «Dopo un periodo di clandestinità nell’81, lasciai il Cile. Poi andai a vivere in Svezia, insieme a nostro figlio.
E più o meno nello stesso periodo, dopo un’intensa esperienza in America Latina, Lucho approdò ad Amburgo con la sua nuova compagna tedesca. Iniziava la nostra vita da esuli in Europa».
LS: «Con Pelusa nasceva un rapporto nuovo, mi sentivo il suo fratello maggiore. Non mi piaceva il suo nuovo compagno, un cileno che parlava di rivoluzione a vanvera. E fui contento quando decise di lasciarlo».
CY: «Io rispettavo la nuova famiglia di Lucho – Margarita e in seguito i loro tre figli – ma tra noi sopravviveva una complicità speciale. Ero la prima lettrice dei suoi romanzi. Anche Il vecchio che leggeva romanzi d’amore: ti ricordi, Lucho, mi mandasti il dattiloscritto…».
LS: «Era un elegante modo per sedurti».
CY: «Mi chiamava al telefono anche alle quattro del mattino.
E rimanevamo a chiacchierare fino all’alba».
LS: «Finché nell’89 chiesi a Carmen di accompagnarmi a Göteborg a un incontro tra scrittori. Quando la vidi pensai: è ancora la bellissima ragazza di cui mi sono innamorato a 18 anni. Cominciò un processo terribile dentro la mia testa: ma che sto facendo? Così finisce male…».
CY: « Eravamo silenziosi, strani. Come se ci fosse un vuoto da colmare. Mi pettinai con le treccine, come la prima volta».
LS: «Il rapporto con la compagna tedesca si stava esaurendo. Fu Margarita, con quella preveggenza che hanno le donne, ad accorgersi di tutto. “Con te sto bene, sei divertente e anche un buon marito, ma l’unica donna che hai amato è Carmen”. “Sì, hai ragione, è così”. Decidemmo di fare una grande festa per il divorzio: era un modo per condividere la separazione con gli amici».
CY: «E Margarita, all’insaputa di Lucho, mi invitò alla festa nella loro vecchia casa nella Foresta Nera».
LS: «Io arrivai trafelato perché mi ero dimenticato della cerimonia e all’improvviso vidi Pelusa. L’indomani partimmo insieme per Parigi. Da allora non ci siamo più lasciati».
CY: «Il nostro legame indissolubile è stata la storia comune. Una storia d’amore e di dolore. Abbiamo perduto entrambi un Paese mai completamente ritrovato se non nella memoria dell’infanzia e della giovinezza».
LS: «Sì, ci hanno unito anche le ferite. Ma ne abbiamo sempre parlato con un forte senso del pudore, anche tra noi. Solo chi non ha sofferto davvero può dare spettacolo del dolore».
Sul treno che da Basilea li portò a Parigi e alla seconda vita insieme, Sepúlveda scrisse per Carmen la poesia La más bella historia de amor. «L’ultima nota del tuo addio/ mi disse che non sapevo nulla/ e che arrivavo/ al tempo necessario/ di imparare i perché della materia./ Così, tra pietra e pietra/ seppi che sommare è unire/ e che sottrarre ci lascia soli e vuoti/… che due più due/ può essere un pezzo di Vivaldi/… seppi che la mia opera era scritta/ perché La Più Bella Storia d’Amore/ è possibile solo/ nella serena e inquietante calligrafia dei tuoi occhi».
Oggi Carmen e Luis hanno sei figli e sei nipoti (solo un figlio in comune). Vivono in una grande casa delle Asturie che si chiama Croce del Sud.