la Repubblica, 26 giugno 2018
Bambini sfruttati nelle piantagioni dei “re” del tabacco
Sono sempre più numerosi i bambini arruolati nelle piantagioni di tabacco nel mondo, dove per due soldi, passano le giornate a cogliere le foglie con cui saranno fabbricate sigarette poi fumate in Europa, Usa o Cina. Oltre che alla loro scolarità, questa nuova forma di schiavismo nuoce alla salute dei più piccoli, costretti a trascorrere giornate intere sotto un sole cocente. I giganti del tabacco negano, sostenendo di aver aumentato i controlli e di battersi affinché ciò non avvenga. Ma i dati di Ong come Human Rights Watch e del dipartimento del Lavoro Usa, li smentiscono: il lavoro minorile è in aumento, soprattutto nel sud del mondo, dove sono sempre più estese le coltivazioni di tabacco, quali Bangladesh, Indonesia, India, Kazakhstan, Brasile, Malawi e Zimbabwe. Sono spesso le stesse famiglie a usare i bimbi nei campi magari perché indebitate con il proprietario delle terre. Secondo Vera Da Costa e Silva, dell’Oms, nulla si fa per invertire questa tendenza: «Le fattorie che producono tabacco procurano grossi guadagni alle multinazionali, che non fanno nulla per migliorare i salari di chi lavora nei campi». Se nel 2011 erano circa 1,3 milioni i bambini che ci lavoravano, secondo l’Onu questa cifra è aumentata, anche perché le piantagioni di tabacco sono diminuite nei Paesi ricchi e cresciute nei Paesi poveri. In alcuni, i contadini sono così poveri che il lavoro infantile è quasi inevitabile, e fabbriche come la British American Tobacco o la Japan Tobacco International, considerano “accettabile” il fatto che bambini tra 13-15 anni svolgano un lavoro non troppo pesante nelle loro piantagioni, a condizione che non nuoccia alla loro salute né alla loro scolarità. Ma per i sindacati nessun ragazzo con meno di 18 anni dovrebbe mettervi piede.