il Giornale, 26 giugno 2018
Svetlana Zakharova, regina del Bolshoi e della Scala: «La danza è la mia vita, il supermarket la mia passione»
È la numero uno del tempio del balletto, e in quanto tale la numero uno in assoluto al mondo. Perché Svetlana Zakharova, cittadina russa benché nata in Ucraina 38 anni fa, dal 2003 è l’indiscussa regina del Teatro Bolshoi di Mosca ed étoile della Scala dove è la partner prediletta di Roberto Bolle. Vive sulle punte da quando ha 6 anni. Un miracolo di talento, tecnica inappuntabile, studio indefesso, autodisciplina e ferrea volontà. Un concentrato di risoluzione e timidezza, tanto che riesce difficile pensarla membro della Duma dove sedette – tra le file del partito Russia Unita – dal 2008 fino alla nascita della figlia Anja nel 2011 dopo il matrimonio con Vadim Repin, asso del violino.
Zakharova&Bolle è una coppia professionale praticamente perfetta.
«al punto che ultimamente potremmo ballare anche senza fare le prove».
Quanto incide sull’esito dello spettacolo conoscere bene il proprio partner?
«L’affiatamento è determinante, perché durante lo spettacolo ci si sente l’un l’altro e quindi ci si aiuta. Una cosa che vale soprattutto per la sfera dei sentimenti, dell’espressività, anche perché nella nostra fase di carriera ormai non vi sono problemi tecnici. Per esempio nella Dame aux camélias che abbiamo danzato recentemente alla Scala, non avevo timore di aprirmi, dato l’affiatamento con Roberto. A questi livelli, puoi trasmettere tutto quello che pensi e senti sapendo che l’altro ti comprende».
Ha detto che il palcoscenico più difficile in assoluto è quello del Bolshoi. Una volta superato il test lì, si può andare ovunque. Cosa lo rende tale?
«Non so esattamente a cosa sia legato tutto questo. Per prima cosa, vi sono difficoltà oggettive poste da un palcoscenico enorme: ha misure che spaventano. E poi incute soggezione la storia del teatro. Quando sai che i ballerini leggenda hanno danzato lì e tu stai per andare in scena, senti il peso della responsabilità. Io lo avverto sempre. Però, una volta superato questo esame, allora puoi davvero ballare ovunque».
E la Scala?
«La Scala è impegnativa, non c’è ombra di dubbio, ma è più semplice ballarvi rispetto al Bolshoi».
Oggi la danza che rilevanza ha in Russia? La stessa che aveva un tempo?
«Ancora oggi, il balletto rimane un importante biglietto da visita per i russi. Quando ci sono eventi o feste istituzionali, il balletto non manca mai. Discorso che è valso anche per le Olimpiadi invernali di Sochi. Nelle celebrazioni di apertura e chiusura c’era tanto balletto. Vi partecipai anch’io. Abbiamo ancora una tradizione solida, un’importante scuola e un continuo interesse da parte del pubblico. Pensi che si continua a produrre fiction legate al ballo».
A Sochi, tre anni fa, è stato creato il Campus Sirius, pensato per le eccellenze russe di sport, arte, scienza. Lei continua a essere coinvolta?
«Sono sempre nel board dei sostenitori, rappresento la danza».
Com’è questo Campus?
«È un luogo eccezionale, un ambiente unico. L’ha voluto il presidente Vladimir Putin e lo segue personalmente».
Personalmente?
«Sì, viene in visita almeno una volta l’anno. A Sirius arrivano bambini superdotati da tutta la Russia e così pure i migliori insegnanti. Ci sono tantissimi progetti, laboratori, discipline, dall’hockey al pattinaggio artistico, scienze, matematica, arte e naturalmente la danza».
A misura di bambini geniali e competitivi.
«Per bimbi molto dotati, talvolta anche geniali. Non necessariamente competitivi. Sicuramente seri: lavorano e studiano sodo. Sono molto speciali, seppure in ambiti diversi, hanno tante cose in comune quindi nascono anche delle amicizie. A loro piace stare lì. Del resto, è una struttura incredibile, anche da un punto di vista del paesaggio: s’affaccia sul mare. E una specialissima industria del sapere».
Anche lei vi tiene delle masterclass?
«No, finora non ho ancora avuto l’occasione di insegnare al campus Sirius».
Ha pensato a cosa farà quando appenderà le scarpette al chiodo?
«Meglio che non ci pensi. Mi riesce difficile pensarci in questo momento. Vorrei rimanere nel mondo dell’arte. Mi piacerebbe continuare ad avere a che fare con la danza. È la mia vita».
Da uno a dieci, nella sua carriera quanto ha contato e sta contando il talento e quanto il lavoro?
«10 e 10. A un certo punto degli studi mi dissero che avevo molto talento. Bene. Ma posso dire con grande convinzione che senza tanto, tanto lavoro non sarei arrivata fino qui».
Come si sente quando va in scena. È un momento di liberazione o di tensione all’apice?
«Nessuna liberazione. Né durante né dopo lo spettacolo. Anzi, dopo non sento proprio niente, semmai la percezione che ho è di svuotamento. Durante lo spettacolo mi sento molto tesa e concentrata».
Dorme la notte dopo spettacolo?
«Non subito. Ci vuole un bel po’ per scaricare l’adrenalina, rilassarsi e quindi prendere sonno».
Ha una bimba di 6 anni e fino ad ora ha viaggiato con lei. Ora che è più grandicella?
«Quando posso, la porto ancora con me, cè poi sempre mia mamma ad aiutarmi. Però adesso va a scuola, quindi è più difficile».
Quindi può contare sempre su mamma.
«Sì, molto. Mi aiuta veramente tanto».
Pare che sia stata una mamma severa.
«È stata severa nello studio e poi nella professione, sì, lo ammetto. Mi ha sempre detto chiaramente le cose positive e soprattutto negative. È lei il critico più affidabile che abbia mai avuto, anche ora. Le sue osservazioni sono state d’aiuto soprattutto agli inizi, altre persone non avrebbero avuto il coraggio di dirmi schiettamente le cose che lei mi faceva notare. E grazie a questo sono riuscita a crescere prima come studentessa e poi come professionista. Anche se sapeva che una osservazione mi avrebbe potuto offendere, non me l’ha mai risparmiata. Per questo mi fido ciecamente di lei. Se è bene dice bene. Se è male dice male».
Interviene solo sulla danza oppure anche sulla sua vita?
«I suoi interventi non si sono mai limitati alla danza. Si è espressa anche sulle situazioni di vita, sul mio comportamento. Mi ha sempre dato consigli, utili consigli».
E che rapporto ha avuto con lei?
«È sempre stato stretto e di grande amore. Posso parlare con lei di qualsiasi cosa. Le sono molto grata per quello che ha fatto».
Lei è una donna piuma, eterea, senza peso. Non riusciamo a immaginarla in situazioni di vita quotidiana. Per dire: le capita di andare al supermercato?
«Certo. A Milano, per esempio, mi piace andare nei supermercati. Mi piacciono i prodotti italiani. Li adoro. Avete tante cose buone, quindi le compro. Così come vado nei vostri ristoranti. Quando vengo a Milano mi organizzo in modo che possa mangiare bene. La cucina italiana è la migliore in assoluto, incomparabile».
Danza da quando ha 6 anni, senza interruzione salvo quella della maternità.
«Proprio così, presi un anno di stacco dalla danza. Ne approfittai per riposare, però non appena potei riprendere, lo feci volentieri. Mi mancava».
La sappiamo ossessionata dalla perfezione. Non esce dalla sala fino a quando non ha raggiunto l’obiettivo.
«Il concetto di perfezione varia da persona a persona. Però ritengo che nella propria professione ognuno debba aspirare alla perfezione, cosa che vale per qualsiasi mestiere. Se così fosse, il mondo sarebbe più interessante, funzionerebbe meglio. Prendiamo il Giappone. È unico per quel suo tendere incessante alla perfezione. Una volta arrivata in Giappone ti innamori di quel Paese e vorresti rimanervi per sempre. Non ho mai visto in nessun altro Paese questa attitudine a voler far meglio, è mosso dal desiderio di fare qualcosa di superiore rispetto alle normali possibilità. E quello che più mi intriga è che il Giapponese non pensa a sé, ma fa tutto questo per gli altri, vuole dare il meglio e rendere la vita altrui migliore».
Ha lasciato Kiev che era una ragazzina. Ora si sente più vicina a Kiev o a Mosca? O magari alla città degli studi San Pietroburgo? Qual è il luogo degli affetti?
«Vivo da molto tempo a Mosca, amo questa città, quindi direi che è Mosca la città degli affetti, lì vivo con mio marito e mia figlia. Quanto a San Pietroburgo, ormai vado raramente, però quando la raggiungo avverto un senso di piacere, mi trovo bene. Sono due città diversissime, offrono cose diverse».
E Kiev?
«L’ho lasciata che avevo 15 anni. E comunque sono nata a Luc’k. A Kiev andai per studiare, vi sono tornata dopo 19 anni di assenza ballando Giselle».
Prossimo ritorno?
«Non so quando tornerò di nuovo. Amo molto Kiev, è una città molto bella. Gli ucraini, poi, sono persone di talento, è una nazione di talenti. La sento molto vicina a me, lì c’è la mia prima scuola, i miei insegnanti».
Che impressione ebbe quando la rivide dopo 19 anni?
«Arrivata a Kiev, andai subito a vedere la mia scuola. Mi resi conto che nulla era cambiato. Stessi muri, infissi, nessuna opera di manutenzione. Non c’erano soldi neppure per sistemare il tetto da dove pioveva. Per questo organizzai un Gala al Bolshoi, invitando artisti che come me avevano cominciato a Kiev ed oggi sono stelle. Tutti quelli che poterono, parteciparono e per la maggior parte rinunciando al cachet. Abbiamo raccolto fondi per sistemare lo stabile. Qualcosa è stato fatto, anche se il palazzo avrebbe bisogno di ulteriori lavori».
Quando accadde tutto questo?
«Quattro anni fa».
Quando lei è in scena, suo marito la segue dalla platea. E viceversa. Sappiamo che vi «inseguite» il più possibile.
«Ma facciamo anche spettacoli assieme. In Oman e a Hong Kong presentiamo Pas de deux for Toes and Fingers, entrambi lavoriamo con le punte: io dei piedi lui delle dita».
Suo marito, Vadim Repin, è nato in Siberia dove ha fondato pure un Festival. Per noi quella regione è sinonimo di freddo. Lei come la vede e vive?
«Tra l’altro anch’io partecipo a quel Festival. La Siberia anzitutto è molto, molto lontana ed è assai estesa. La Russia stessa è sconfinata. La gente che vive in Siberia è unica. Poi c’è una natura speciale, penso ai boschi, laghi, fiumi, pesci. Certo l’inverno è freddissimo. Curiosità: sa che c’è piatto siberiano simile a quello italiano? I ravioli».
A quali leggende della danza vanno il suo pensiero e ammirazione?
«Anzitutto vorrei specificare che quando penso a loro, provo un grande rispetto e ammirazione però non vorrei assomigliare a nessuno. Perché tutti noi abbiamo personalità diverse e ognuno deve esprimere la propria. Difficile fare nomi, sono troppi per fortuna e tutti hanno concorso a creare la tradizione e la storia del balletto russo».
Ma se proprio di nome dovesse farne uno?
«Farei quello di Baryshnikov. Quando ancora ero studentessa, e vidi per la prima volta un balletto registrato con lui protagonista, ecco quelle immagini sono rimaste salde nella memoria. Quel balletto sarà per sempre nella mia testa, per tutta la vita. Aveva un tale carisma. Quando anni dopo lo conobbi, al primo incontro non riuscivo neanche a parlargli. Mi risultava impossibile aprir bocca».