Il Sole 24 Ore, 26 giugno 2018
Harley-Davidson in fuga dalla guerra di Trump
Capitan America. La sua moto più famosa – immortalata da Easy Rider, film che segnò la generazione on the road – dice tutto fin dal nome. Con quel serbatoio a stelle e strisce, icona statunitense per eccellenza. Ma le due ruote di Harley-Davidson da oggi potrebbero essere ribattezzate Capitan Thailandia o Capitan India, Capitan Australia o Capitan Brasile. Pressata dalle guerre commerciali dell’amministrazione Trump contro l’Unione Europea, il suo secondo mercato dietro la piazza domestica, la casa di Milwaukee è stata costretta a una brusca sterzata: traslocherà la produzione sempre più negli impianti esteri per cercare di evitare i dazi.
Da icona a vittima sacrificale delle spirali di rappresaglie scatenate da America First il passo è stato breve. Era solo l’anno scorso che il presidente Donald Trump aveva accolto sul prato della Casa Bianca cinque motori rombanti al grido di «siamo orgogliosi di te! Made in America Harley-Davidson». L’orgoglio adesso non basta: a causa di barriere tariffarie nel Vecchio continente salite al 31% dal 6%, «il tremendo aumento dei costi, se trasferito su concessionari e consumatori, avrebbe impatto immediato e dannoso». E se «l’incremento della produzione internazionale non è la strada preferita, è l’unica opzione sostenibile per preservare il business in Europa».
Harley ha messo nero su bianco stime di un’impennata dei costi dell’export transatlantico, provocato dalle sanzioni, pari a 2.200 dollari a veicolo. E nell’indicare che non farà lievitare i prezzi retail ha previsto di assorbire entro fine anno oneri tra i 30 e i 45 milioni di dollari, con il costo annuale del trasferimento della produzione, previsto nell’arco di 18 mesi, calcolato in cento milioni.
A mettere i bastoni fra le ruote di Harley è stato l’attacco di Trump con dazi su acciaio e alluminio, ai quali la Ue ha replicato con barriere su 2,3 miliardi di prodotti tipici statunitensi. E se anche Harley ieri non l’ha ricordato, era già stata danneggiata dalle stesse originali misure “protettive” sui metalli: la sua bolletta per le materie prime lieviterà quest’anno di 20 milioni.
Lo schiaffo sofferto da Harley risuona non solo per la popolarità dei marchi ma per la sua saga industriale. Nata dal 1903 in Wisconsin da due amici ventenni, William Harley e Arthur Davidson, è sopravvissuta alla Grande Depressione e a ripetuti cambi di proprietà nel secondo Dopoguerra. L’Europa diventa nuova piazza strategica con 40mila moto vendute nel 2017, un sesto del totale. L’Asia avanza e nascono impianti dall’India alla Thailandia per ovviare a barriere regionali e puntare sulla Cina. Tanto che per il costruttore di Capitan America il mercato estero – oggi il 39% del fatturato, con ambizioni del 50% – diventa una vitale risposta all’invecchiamento dei tradizionali centauri, i baby boomers americani.