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 2018  giugno 26 Martedì calendario

L’addio di Silvio Garattini al Mario Negri. «Ma continuerò a lavorare»

C’era una volta... La lunga storia, professionale, ma anche personale, del professor Silvio Garattini, che a novembre compirà novant’anni e passerà, in questi giorni, il testimone della direzione dell’Istituto Mario Negri di Milano, dopo 55 anni, a Giuseppe Remuzzi, ora direttore del Mario Negri di Bergamo, ha assunto, in qualche momento, i contorni di una fiaba. 
«Erano gli anni Cinquanta, mi ero appena laureato in Medicina e ho avuto la fortuna di andare in America – racconta Garattini —. Lì mi sono accorto che esisteva la professione di ricercatore. E poi c’erano le Fondazioni che permettevano studi indipendenti, slegati dall’università e dall’industria».
Tornato in Italia (aveva 29 anni e già la libera docenza all’Università) si è messo alla ricerca di qualcuno che sostenesse la sua idea di Fondazione. E lo trova, quasi per caso: Mario Negri, gioielliere in via Monte Napoleone, che aveva inventato la produzione industriale di gioielli, per abbassarne il costo. Negri morirà prematuramente, ma nel suo testamento lascia risorse per fondare l’istituto, che poi porterà il suo nome, e nomina espressamente Garattini come Direttore. È la favola che diventa realtà.
Garattini è un bergamasco «testone«(lo dice lui), si è diplomato, come perito chimico, in un istituto tecnico di Bergamo («La mia fortuna, perché lì ho imparato a fare analisi in laboratorio», commenta), ha lavorato alle acciaierie della Dalmine, mentre preparava gli esami per il diploma del liceo scientifico, indispensabile per accedere all’università. Ci entra: studia a Milano e poi a Torino. E si laurea. 
La mission dell’Istituto Mario Negri è sempre stata quella della ricerca sui farmaci. E Garattini, e l’Istituto, si sono sempre distinti a livello internazionale. Basti pensare che lì si è certificata la terapia trombolitica per la cura dell’infarto acuto, che ha salvato milioni di vite nel mondo.
Ma Garattini non è stato solo il direttore del Mario Negri. È un’autorità scientifica a livello internazionale (ha ricoperto varie cariche nell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, e nell’Eortc, l’Agenzia europea dei tumori, oltre che nel Consiglio Superiore di Sanità italiano) ed è un personaggio familiare anche al grande pubblico: ha fatto la guerra al fumo, ha combattuto le medicine alternative, omeopatia in primis, ha lottato contro lo strapotere delle industrie farmaceutiche, e, dopo Tangentopoli, ha rivisto il Prontuario farmaceutico nazionale, all’inizio degli anni Novanta, eliminando farmaci inutili e costosi a carico del Sistema sanitario nazionale. 
«Anche l’opportunità di essere nominato nella Cuf (Commissione unica del farmaco, ndr) per la revisione del Prontuario – dice Garattini – è avvenuta quasi per caso. Ero a una trasmissione televisiva con Maria Pia Garavaglia (allora Responsabile della Sanità, ndr) e discutevamo delle tangenti, pagate dall’industria farmaceutica, compresi i soldi ritrovati nel famoso puf di Duilio Poggiolini (allora direttore del Servizio farmaceutico nazionale, ndr). A quel punto un giornalista chiese: Perché non nominare Garattini? E così e successo». Anche questa situazione ha i contorni della fiaba. 
E quale sarà il futuro di Garattini? 
«Rimarrò Presidente dell’Istituto – commenta lo scienziato – con l’idea di promuovere la cultura scientifica nel nostro Paese: perché oggi, da noi, la cultura dominante è quella umanistica e nessuno può affermare che Garibaldi sia un pittore dell’Ottocento. Ma se, invece, confonde l’atomo con una molecola, passa per uno un po’ troppo pignolo: “Perché non tutti siamo scienziati”». «E poi – aggiunge Garattini – sarò, un po’ più libero».
Libero per che cosa? E chiediamo: come il professore ha, finora, conciliato la sua vita personale con quella, densissima, professionale?
«Vivo con la mia seconda moglie, Annie, francese – racconta Garattini –. La prima è mancata dopo un incidente. Annie mi aiuta molto ed è impegnata nella ricerca di fondi per sostenere i giovani nella ricerca. E poi ho cinque figli e cinque nipoti, ormai grandini: l’ultimo si sta laureando in medicina. E amo la musica e il teatro». 
Un’ultima cosa: il suo tratto distintivo rimarrà sempre il dolcevita, nelle varie sfumature di bianco, che indossa anche quando l’abbiamo più volte incontrato alla Scala, in smoking. 
«Tutto questo nasce da una ragione semplice – racconta lo scienziato – andando in giro per il mondo occorre avere un abbigliamento facile da gestire. Che non costringa la moglie, o chi per lei, a stirare le camicie. È una forma di comodità».