Corriere della Sera, 26 giugno 2018
L’assassino incastrato 32 anni dopo il delitto dal sito di genealogia
rimi giorni di giugno, Tacoma, stato di Washington, costa ovest degli Usa. Gary Hartman, 68 anni, infermiere, fa colazione insieme ad un collega in un ristorante della zona. Quando finisce di mangiare lascia sul tavolo un tovagliolo. Paga, si alza e se ne va al lavoro. Routine, gesti consueti. Non lo sono invece quelli degli agenti che lo stanno pedinando: prima che la cameriera rimetta a posto le cose prendono quel pezzetto di carta leggera usato dal signor Gary per pulirsi la bocca. Cercano una cosa: il suo Dna.
È questo il punto finale di una storia brutale, nera come la pece, angosciante iniziata il 26 marzo 1986, oltre trent’anni fa, nella zona settentrionale della città, nel Puget Park. Quel giorno Michella Welch, 12 anni, deve badare alle sue due sorelline. Corrono e giocano in quest’area verde, in apparenza tranquilla. Attorno alle 11 la bambina si sposta verso casa in bici per recuperare le merende, quindi torna al parco, ma non trova le sorelle che nel frattempo sono andate in un negozio.
Si mette a cercarle tra cespugli e vialetti, le chiama invano. Sono le ultime mosse note di Michella. Perché svanisce. Scatta l’allarme, recuperano il sacchetto con i panini e la sua bicicletta. Una persona afferma di averla vista alle 13.30 parlare con un uomo. È pur sempre una traccia, che si tira dietro un presentimento orrendo. Che avrà la sua conferma tragica nella notte quando, con l’aiuto dei cani, trovano il corpo seviziato della piccola vittima. Lo hanno abbandonato tra i resti di un bivacco ormai freddo.
La polizia riparte esaminando le dichiarazioni del teste che l’aveva osservata in compagnia di un adulto. Lo descrive così: tra i 25 e i 35 anni, con i baffi, vestito con abiti di jeans logori e lacerati, scarpe in cattive condizioni. Indicazioni che potrebbero far pensare ad un vagabondo, magari qualcuno che si era nascosto al Puget Park in cerca di una preda. Ma è anche vero che l’identikit somiglia a quello di migliaia di altri, è davvero vago. Comunque è troppo poco per permettere una svolta. La Scientifica, invece, recupera degli effetti sul quale è rimasto il Dna del presunto killer.
In quegli anni non era possibile ancora usarlo, però il reperto è stato conservato con cura. Gesto provvidenziale e professionale. Infatti i tecnici del laboratorio potranno «estrarlo» nel 2006, procedura seguita dai controlli incrociati.
Gli investigatori sperano di poter individuare un profilo negli archivi dei pregiudicati, di chi è stato arrestato e magari è in galera per un altro reato. È una ricerca classica, condotta attraverso gli Stati Uniti «interrogando» migliaia di files. Non sono però fortunati, da quel lavoro esce uno sconfortante zero. Serviranno altro tempo e nuove tattiche investigative, in particolare una che ha permesso di arrestare, anche di recente, serial killer inafferrabili, compreso quello del Golden State, responsabile di una lunga serie di crimini dal 1974 all’86.
In America non sono pochi coloro che offrono volontariamente il loro Dna a società – come 23andMe e ancestry.com – che con l’aiuto di kit per la raccolta delle tracce conducono ricerche genealogiche basate su quei frammenti che racchiudono molto di noi. In un Paese relativamente giovane, formatosi con l’arrivo di immigrati e marcato da un’alta mobilità, può essere questo il modo per ricostruire passato, parentele, origini. La perseveranza della Omicidi di Tacoma è premiata. Il campione inviato ad uno di questi database conduce ad una coppia di fratelli dello Stato di Washington. Le successive verifiche incoraggiano i «cacciatori»: le persone di interesse vivono non lontano da dove abitava Michella. Ora serve il passo finale, il chiodo che sigilli il cold case. Serve il Dna del sospetto, ovvero di Gary Hartman.
Gli agenti seguono l’infermiere, aspettano che sia lui a scoprire il fianco. E all’inizio di giugno sono al ristorante dove finalmente hanno in mano l’elemento necessario al confronto. I test sul tovagliolo confermano che si tratta del presunto assassino, il giorno 22 lo arrestano in strada, in una di quelle scene viste in tanti film, quando il sospetto è fermo ad un semaforo. Il fascicolo su Michella Welch si chiude, con un inno ai detectives e le solite frasi dei vicini dell’assassino: non avremmo mai pensato che fosse un mostro.