Corriere della Sera, 26 giugno 2018
Intanto Renzi pensa a un programma tv
Il risultato dei ballottaggi accelera la resa dei conti nel Pd. Crolla infatti il compromesso raggiunto a fatica tra renziani e il resto della maggioranza del partito per eleggere Martina nell’Assemblea nazionale e rinviare il congresso a dopo le europee.
Zingaretti ha spinto il piede sull’acceleratore per andare alle assise già a novembre e candidarsi. E nel Pd le cose si sono rimesse in moto. Lo dimostra il ribaltone interno di ieri: prima Franceschini, poi Gentiloni, quindi Veltroni hanno dato il loro via libera al congresso in tempi brevi e, di fatto, alla candidatura di Zingaretti a segretario.
Orlando era già della partita. Martina, che ancora ieri mattina tentennava, non potrà non accodarsi visto che non c’è più una maggioranza che sostenga l’ipotesi di una sua elezione in assemblea e di uno slittamento del congresso. E i renziani? Non hanno un candidato da opporre al governatore del Lazio. Per cui hanno solo due alternative: restare fuori da questo nuovo accordo o fare finta che Zingaretti non abbia preso esplicitamente posizione contro la gestione dell’ex segretario («un ciclo si è chiuso»), sostenendo la sua candidatura. Lotti, uomo pragmatico, è favorevole a imboccare questa seconda strada, pur sapendo che l’obiettivo dell’operazione Zingaretti è la definitiva derenzizzazione del Pd.
L’ex segretario, che è a Londra, lascia intendere ai suoi che per lui la data del congresso è «indifferente». Ed effettivamente Renzi sembra lontano da queste contese. Sta progettando di darsi alla tv. Di fare cioè un programma con il suo amico Lucio Presta sulle bellezze dell’Italia, probabilmente su Netflix.
Del resto, Renzi è stato assente anche in quest’ultimo scorcio di campagna elettorale. Al Nazareno, prima dei ballottaggi gli avevano chiesto di non fare comizi e di lasciare che venissero valorizzati altri. Ed è andata a finire come è andata.
Si è capito che pure questa formula non funziona. «Anche perché non possiamo riproporre vecchi sindaci e dobbiamo capire che c’è un leader che detta l’agenda, che si chiama Salvini, quindi o ci opponiamo senza giocare di rimessa ma imponendo noi i temi, o siamo destinati a perdere», ha confidato l’ex segretario a qualche amico. Nessuna critica nei confronti dell’attuale dirigenza, solo una constatazione.
L’ultimo fronte di resistenza del pezzo dei renziani che non vuole Zingaretti alla segreteria è l’assemblea nazionale del 7 luglio: l’idea è quella di rinviarla. Orfini ci ha pensato e non solo lui. Ma gli spazi di manovra sono sempre più esigui.
Dunque sta per finire veramente l’era Renzi nel Pd? Sembrerebbe proprio di sì, anche se mutamenti di rotta dell’ultima ora non sono una novità per il Pd. Zingaretti comunque sta scaldando i motori e ha già valutato di non dimettersi dalla presidenza della regione Lazio nel caso in cui venga eletto segretario.
C’è ancora però chi dubita che Renzi si acconci. Ma l’ex premier, che ha un sondaggio riservato che dà a una nuova formazione da lui capeggiata dal 10 al 15 per cento e contesta le voci che lo danno invece al 4 per cento, non pare ancora disposto a uno strappo con il Pd. Anche se uno dei suoi uomini, Sandro Gozi, sta lavorando con Ciudadanos e En Marche per creare un nuovo schieramento europeo che «esca sia dallo schema dei vecchi partiti sia da quello sinistra-destra». L’appuntamento per una decisione definitiva è comunque rinviato alla Leopolda in programma per il prossimo autunno.