Corriere della Sera, 26 giugno 2018
A sinistra di Charlie Brown
Dopo avere scolorito anche le regioni rosse, la sinistra si interroga. Ma non è dai giorni della caduta del Muro che si interroga? Possibile che in ventinove anni nessun maturando le abbia ancora passato sotto banco la risposta? Si può condensare la storia di un movimento politico in un rosario di domande? Chi siamo? Come ci chiamiamo? La terza via esiste o è meglio lasciar decidere al navigatore? Fare le riforme con Berlusconi sarà peccato? Farsi fregare da Berlusconi sarà scontato? Chi ha baciato il Rospo, può mangiare la Mortadella? Rutelli è troppo bello per essere Amato? D’Alema è più simpatico che intelligente? Veltroni e Gentiloni fanno rima con «state bboni»? Rottamare significa non dovere mai dire «mi dispiace»? Esiste un problema di comunicazione oppure, per chi ha coniato espressioni iettatorie come «gioiosa macchina da guerra», «smacchiamo il giaguaro» e «mangiamo i popcorn», è la comunicazione in sé a rappresentare un problema? Perché i dirigenti non fanno che ripetere «bisogna andare oltre» e intanto rimangono sempre lì? Il Pd ha pagato le divisioni o certe addizioni, tipo Verdini? Perché un povero dovrebbe vergognarsi di andare a destra, se la sinistra ha smesso di andare da lui? Si può evocare il rapporto con il territorio, quando il territorio con cui ci si rapporta più volentieri rimane il centro storico? Povero Pd, sembra la famosa striscia di Charlie Brown in cui Lucy commenta sarcastica: «Ogni volta che lo guardo, mi sento salire una critica».