Il Messaggero, 26 giugno 2018
George Orwell, il grande delatore. Un dibattito a 115 anni dalla nascita
«Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri», scriveva George Orwell in uno dei suoi capolavori, La fattoria degli animali, per denunciare i crimini dello stalinismo. Il racconto, in cui i rivoluzionari erano (fuor di metafora) maiali, fece molto discutere quando fu pubblicato, alla fine della Seconda Guerra mondiale, perché aveva infranto uno dei tabù della sinistra dell’epoca. Proprio ieri si celebravano i 115 anni dalla nascita di Orwell e i giornali inglesi hanno provato a tracciare un bilancio di colui che viene ancora considerato come uno dei più grandi e lucidi scrittori britannici, capace di denunciare (come in 1984) il pericolo di ogni genere di totalitarismo. Fervente socialista, al punto di ricevere una pallottola alla gola durante la guerra civile spagnola, fu anche un delatore, al servizio del Foreign Office britannico. La sua Orwell’s List, rivelata al mondo (nella sua interezza) nel 2003, fece gridare molti allo scandalo. Ma come? Il creatore di quel mondo distopico, funestato da un Grande Fratello onnipresente, ha avuto il coraggio di compilare una lista di proscrizione?
LA TEGOLA L’Independent sottolinea come questa tegola abbia minato pesantemente la sua fama successiva; soprattutto da quando è apparsa la Rete. Alcuni internauti (di sinistra) oggi lo definiscono «falso socialista», «infiltrato reazionario», o addirittura «traditore maccartista».
In realtà Orwell era troppo controcorrente, troppo libero, per potersi curare di critiche di questo genere. «Se la libertà significa qualcosa – scrisse sempre in Animal Farm – significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire». D.J. Taylor, autore di una importante biografia dello scrittore – Orwell: The Life – sostiene che tutto va visto «nel contesto del suo tempo». Secondo la testimonianza di un ex leader laburista, Michael Foot, era molto difficile potersi fidare dei propri colleghi di partito: «Non sapevi mai se, dopo aver confidato loro qualcosa, andavano a riferire tutto alla sede del Partito Comunista». Alcuni di loro – come si è poi scoperto effettivamente – erano sul libro paga di una potenza straniera, quindi come si può definire Orwell un traditore?
L’AMICA Al Foreign Office lo scrittore aveva una amica del cuore, Celia Kirwan: le aveva invano chiesto di sposarlo quando la sua prima moglie, Eileen, era venuta improvvisamente a mancare. E fu proprio a lei che Orwell lasciò la sua lista di persone sospette; anche se sapeva certamente che i nomi sarebbero stati analizzati da altri, fu un estremo tentativo di fare colpo, dopo il fallimento subito tre anni prima. Non servì a nulla perché, alla fine, si unì con Sonia, che secondo alcuni fu il modello per il personaggio di Julia in 1984.
L’Information Research Department (Ird) del ministero degli Esteri britannico, all’epoca, preparava materiale propagandistico che doveva competere con quello sovietico. L’Urss, ricorda Taylor, all’epoca cercava di distruggere gli aneliti di autonomia delle popolazioni Est-europee. Quindi, bisognava essere sicuri che chi veniva ingaggiato a questo scopo non avesse secondi fini.
Insomma, Orwell non fu un nuovo Grande Fratello, ma un sincero patriota: «Non denunciava chiunque, ma si assicurava soltanto che chi era incaricato di scrivere questi testi fosse un vero democratico».
MACCARTISMO Negli Stati Uniti, molti si ritrovarono rovinati dopo essere finiti nella lista nera di McCarthy; Julius ed Ethel Rosenberg finirono addirittura sulla sedia elettrica. In Gran Bretagna, invece, l’attore Michael Redgrave (padre di Vanessa), che nel 1949 figurava tra i nomi segnalati da Orwell, fu ingaggiato per il ruolo principale, quando si decise si girare l’adattamento cinematografico di 1984. Il giornalista Peter Smollett – definito dallo scrittore-delatore «criptocomunista» – ebbe addirittura un’onorificenza; si scoprì soltanto molti anni più tardi, grazie al dossier Mitrokhin, che si trattava effettivamente di una spia.
Difficile paragonare gli effetti della Orwell’s List con quanto avvenne in Unione Sovietica, al tempo della Guerra Fredda, anche se, come ammette Timothy Garton Ash, la Ird del Foreign Office aveva la fama di mettere a punto lavori sporchi per conto del governo di Sua Maestà. La lista di Orwell, sostiene il saggista britannico, dovrebbe piuttosto farci riflettere «sull’asimettria delle nostre attitudini nei confronti di nazismo e comunismo». Se, invece che personaggi di sinistra fossero stati denunciati dei sodali di Hitler, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.
Orwell morì precocemente di tubercolosi, ad appena 46 anni; non ebbe modo di continuare la sua opera, letteraria e anche di spionaggio, ed entrò direttamente, come sottolinea Garton Ash, nell’Olimpo. Come «il James Dean della Guerra Fredda, il John Kennedy della letteratura inglese».
Oggi, se fosse vivo, avrebbe molti spunti per entrare in polemica. Perché, come scrisse una volta, «un fatto è disapprovare le idee politiche di uno scrittore; altra cosa, non necessariamente incompatibile con la prima, è disapprovare lui perché ti costringe a pensare».