Il Sole 24 Ore, 26 giugno 2018
Che paese sarà la Turchia
Che Paese sarà la Turchia dopo le storiche elezioni di domenica? Quali saranno le prossime le sfide economiche?
Il verdetto uscito dalle urne è chiaro: Recep Tayyip Erdogan ha vinto. Ben oltre le attese. Non solo è stato riconfermato presidente con il 52% dei voti al primo turno, peraltro con un’affluenza particolarmente alta, l’87 per cento. Ma la coalizione guidata dal suo partito, l’Akp, in cui figuravano gli ultra-nazionalisti del Mhp (la vera sorpresa con l’11% dei voti), si è anche aggiudicata la maggioranza assoluta in Parlamento (343 seggi su 600) in quella che alla vigilia del voto appariva una competizione serrata in cui poteva prevalere l’opposizione. A Muharrem Ince, il candidato del Chp, il maggior partito di opposizione, non è restato che prendere atto della realtà. Il suo risultato, il 31%, mostra comunque un’opposizione vivace.
Al potere dal 2003, Erdogan avrà ora le mani libere per portare avanti le sue riforme, economiche e sociali, molte delle quali viste con forte preoccupazione dai Paesi europei. Anche perché, in virtù del referendum costituzionale approvato nel 2017, che trasforma la Turchia in una Repubblica parlamentare, si troverà a governare con poteri quasi assoluti.
Le sfide sono tante. La più importante è far quadrare i conti pubblici e scongiurare un grave surriscaldamento dell’economia. La politica economica di Erdogan, che ha fatto della crescita la priorità assoluta (anche nel 1° trimestre del 2018 il Pil è salito del 7,4%), ha portato a un pericoloso indebitamento: il deficit delle partite correnti sta sfiorando il 6% del Pil. Quanto all’inflazione, ha ormai superato il 12,5% mentre i flussi di capitale straniero, indispensabili per finanziare il deficit, stanno calando vistosamente da mesi.
«Il forte indebitamento (pubblico e privato) della Turchia per circa 490 miliardi di dollari, di cui un terzo a breve scadenza, un’inflazione del 13% e la svalutazione della lira turca hanno accresciuto i timori degli investitori, provocando un calo di immagine e credibilità che ha influenzato in senso negativo le maggiori istituzioni di rating», spiega al Sole 24 Ore Aldo Kaslowski, presidente di Tusiad International (il ramo internazionale della Confindustria turca).
L’euforia del successo di Erdogan si è subito riflessa sulla lira turca, salita ieri mattina dell’1,5% sul dollaro, e sulla Borsa. Ma potrebbe trattarsi di un effetto temporaneo. I problemi sono ancora tutti sul tavolo. «Il nuovo governo dovrà affrontare il ripristino e recupero dell’immagine perduta per riordinare la situazione economica», sottolinea Kaslowski, che tuttavia precisa: «Il mercato turco è sano soprattutto perché sa giostrarsi in condizioni di alta inflazione mentre la svalutazione è uno stimolo per chi vuole investire e/o acquisire società locali in cerca di partner. Tutti gli investitori stranieri, senza nessuna eccezione, hanno goduto di crescita continua e utili al di sopra di quelli nazionali sempre, in condizioni di alti e bassi di mercato».
La svalutazione resta comunque un problema per Erdogan. Cosa farà ora il presidente nemico dei tassi di interesse, che ha dichiarato guerra alla banca centrale, rea, ai suoi occhi, di aver deciso tre rialzi negli ultimi due mesi?
Per quanto agguerrito, Erdogan ha le armi spuntate. Proseguire con la sua politica di espansione fatta di prestiti governativi alle famiglie, dilazionabili e a tassi molto agevolati, e di generosi incentivi alle aziende private, porterebbe a un ulteriore aumento del debito. Riportare i tassi giù sarebbe una mossa controproducente. Arrivare a uno scontro con la Banca centrale avrebbe delle conseguenze negative.
Il presidente sa che ha bisogno di flussi di capitale straniero. E che non può inimicarsi le agenzie di rating o le istituzioni internazionali come il Fondo monetario e la Banca mondiale. Non potrebbe peraltro permettersi un’ulteriore svalutazione. Eroderebbe il potere di acquisto, già seriamente provato, della sua base elettorale. Negli ultimi 14 mesi la lira ha già perso il 30% nei confronti del dollaro americano (il 50% dal 2015).
«La Turchia ha sempre onorato i suoi impegni e penso che continuerà a farlo in futuro anche se il roll over dei debiti sarà alquanto costoso, anche a un tasso del 7-8%», conclude Kaslowski. Difficile prevedere cosa farà ora Erdogan. La sola certezza è che l’attendono tempi duri. E scelte difficili.