La Stampa, 26 giugno 2018
I batteri e il cervello
Protagonisti saranno i micro-organi in vitro: consentiranno di studiare gli effetti delle sostanze prodotte dai batteri intestinali sulla funzionalità del cervello.
La piattaforma ingegnerizzata sarà composta da dispositivi tecnologici che simulano la fisiologia di diversi sistemi biologici, tra i quali l’epitelio intestinale, il sistema immunitario e anche la barriera emato-encefalica che regola il passaggio di sostanze dal sangue al tessuto cerebrale, proteggendolo. «Vogliamo ricostruire i meccanismi biochimici lungo il percorso dall’intestino al cervello, individuando quali sono le relazioni, mentre oggi abbiamo semplici correlazioni», spiega Carmen Giordano, bioingegnere alla guida del Laboratorio di Tecnobiologia del Politecnico di Milano. Il progetto «Minerva», vincitore di un fondo europeo (un «Erc consolidator grant» di 2 milioni di euro), è dedicato in particolare al ruolo del microbiota nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.
All’applicazione medica è rivolto anche un altro progetto, premiato dall’Europa con due «Erc Grant», un «Consolidator» e un «Proof-of-concept»: è destinato alla riproduzione al di fuori dell’organismo di colonie di cellule staminali mesenchimali, quelle responsabili della rigenerazione dei tessuti: verranno alloggiate in supporti appositi, chiamati «nicchioidi», del tutto simili all’ambiente fisiologico nel quale le cellule si mantengono indifferenziate. La responsabile del progetto – non a caso battezzato «Nichoid» – è Manuela T. Raimondi, alla guida del Laboratorio di Meccanobiologia del Politecnico di Milano.
Nei 200 metri quadrati dei due laboratori contigui, insieme con le due professoresse, lavora un team di 10 ricercatori: l’età media è 28 anni ed è composto per il 70% da donne. Qui alla competizione sfrenata si è sostituita una stretta collaborazione, collezionando così una serie di corposi finanziamenti europei e aprendo la strada a ricerche di frontiera nel sempre più promettente settore della bioingegneria. Che è andato incontro a un cambiamento di paradigma: l’obiettivo, ora, è la creazione di sistemi bioartificiali per la realizzazione di pezzi di ricambio destinati al corpo umano – come protesi o valvole – e di tessuti viventi per la sua rigenerazione. «La rivoluzione è stata l’inserimento nell’artificiale della componente biologica: si è partiti dalle protesi e dagli “stent” vascolari già in commercio per arrivare allo sviluppo di nuovi materiali e biomateriali capaci di ospitare dei farmaci e anche cellule per la ricostruzione del tessuto, con elementi in grado di biodegradarsi a rigenerazione avvenuta», spiega Raimondi, co-organizzatrice del sesto congresso di bioingegneria, «Gnb 2018», in programma da ieri al 27 giugno al Politecnico di Milano.
Diagnostica iper-sensibile
Una rapida occhiata al programma svela che la trasformazione verso la biologia è avvenuta in tutte le macroaree della bioingegneria: nella meccanica, nell’elettronica-informatica e anche nella chimica. Andiamo verso apparecchiature biomediche per la diagnostica sempre più sensibili e multimodali, capaci di indagare, per esempio, tanto le caratteristiche strutturali del cervello quanto quelle metaboliche e funzionali, e sempre più potenti e miniaturizzate così da consentire un approccio personalizzato al singolo paziente. Agli sforzi ingegneristici per arrivare a nuove metodiche di navigazione neurochirurgica, che si avvalgono di tecnologie di localizzazione spaziale, realtà virtuale e aumentata e meccatronica avanzata, si aggiungono quelli di bioingegneri chimici e meccanici, che puntano a connettere direttamente le protesi degli arti ai nervi del paziente.
Creazione di nuovi tessuti
Al congresso i bioingegneri si confronteranno sui progressi delle loro tre anime – elettronica, meccanica e chimica – nei più disparati settori della medicina. Si va dalla misurazione delle forze in gioco durante il processo che porta alla creazione di nuovi vasi sanguigni e alla rigenerazione dei tessuti fino allo sviluppo di sistemi robotici per la neuroriabilitazione. Non da ultimo, ci sono le promesse della realtà aumentata per l’imaging intraoperatorio: è una tecnologia che dà sicurezza al neurochirurgo mentre naviga nei labirinti dei tessuti cerebrali.