Corriere della Sera, 25 giugno 2018
«Propaganda Live», scanzonato argine alle derive populiste
L’ormai celebre lettera che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato a Diego Bianchi, e al resto del gruppo di «Propaganda Live», ha avuto l’effetto non secondario di «nobilitare» la trasmissione, facendole perdere un po’ della sua romanità, intesa non come coordinata geografica, ma come sguardo ombelicale sul mondo.
Il programma, partito su La7 il 29 settembre scorso, è arrivato al termine di una lunga stagione e gli appuntamenti con i «Best of» iniziati venerdì sera sono l’occasione per fare qualche riflessione sul primo «anno scolastico» che Zoro e la sua squadra hanno passato su La7. Iniziamo col dire che mai titolo fu più azzeccato per seguire vicende così agitate dallo spettro del populismo: «Propaganda» è cominciato a settembre con un reportage dall’Aquarius, è passato per la crisi catalana, poi per le elezioni italiane e per la complicata fase di formazione del governo, seguita con «sguardo scanzonato e mai banale» (cit.).
Un’agenda politica come quella che abbiamo vissuto negli ultimi mesi è stata un balsamo non solo per gli ascolti ma anche per dare al programma una «reason why», per renderlo un momento atteso e necessario. Appuntamenti come questo hanno bisogno di tempo per rodare e ha fatto bene la rete a dare al programma il giusto spazio per crescere. Se inizialmente «Propaganda» dava l’impressione di essere un corpo estraneo su La7, ancora legato a un mondo e a una storica identità Raitre, nei mesi è cresciuta la sua integrazione nell’ecosistema La7. Le ospitate di Bianchi nel salotto istituzionale di Lilli Gruber, la partecipazione dei giornalisti del TgLa7 (ormai non ci si potrebbe più immaginare lo show senza Paolo Celata, «l’uomo della strada»): tutti aspetti che hanno fatto crescere il programma in autorevolezza. «Propaganda» si vive oggi come ultimo avamposto, scanzonato argine alle derive populiste.