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 2018  giugno 25 Lunedì calendario

Amélie Mauresmo, il tennis e la forza delle idee: «Ora guido la Nazionale maschile»

Parigi, due settimane fa. Spalle larghe e mascella volitiva, la T-shirt da uomo, i pantaloni a sigaretta e le scarpe a punta (da Giovanna d’Arco in poi tutte le pasionarie di Francia hanno sempre adottato una loro corazza per sfidare i pregiudizi), a cena da Murat, brasserie di tendenza del 16esimo arrondissement, Amélie Mauresmo brindava occhi negli occhi con la compagna. 
Oggi abbiamo capito perché: con 13 voti a favore su 17, non un plebiscito ma quasi, il comitato esecutivo della Federtennis francese ha deciso di affidare dal 2019 la panchina di Coppa Davis all’enfant du pays che ha battuto tutti i record del tennis. Campionessa del mondo juniores nel 1996, prima transalpina numero uno del mondo nel 2004 (in totale, resterà seduta sul trono 39 settimane), regina di Wimbledon 2006 (stagione in cui ha conquistato anche l’Australian Open) ottantuno anni dopo l’antenata Suzanne Lenglen e prima donna ad allenare un top-10 uomo, quell’Andy Murray che tra il giugno 2014 e il giugno 2016 aiuterà a tornare numero 2 del ranking. Se c’era una donna in grado di guidare con autorevolezza i maschi in Coppa Davis, insomma, raccogliendo il testimone da quel personaggio enorme e assoluto che è Jannick Noah, era Amélie.
«Orgogliosa e fiera: non vedo l’ora di mettermi al lavoro» ha twittato Mauresmo insieme a tre bandiere tricolori, dopo aver battuto la concorrenza di Michael Llodra e Fabrice Santoro, i due ex che facevano il filo al ruolo (insieme al c.t. della Nazionale di calcio e al selezionatore del rugby) più ambito di Francia. Adesso che sappiamo a quale primizia era consacrata la sontuosa bottiglia di champagne quella sera da Murat, resta da comprendere come interpreterà il mestiere Amélie, cui è stata anche affidata la preparazione della squadra di tennis in vista dell’Olimpiade di Tokyo 2020, perché alla ragazza (38 anni) le sfide troppo semplici non sono mai piaciute. Siamo certi, però, che non si tratti né di una posizione di facciata né dell’esperimento infelice che la Spagna tentò nel 2015 affidando maldestramente la panchina all’ex giocatrice Gala Leon Garcia, destituita da una lettera firmata da 44 tennisti iberici (tra cui Rafa Nadal) che ne chiedevano la testa: «Il tennis della Davis è sport di spogliatoio e lo spogliatoio degli uomini non è un luogo per le donne».
Amélie viaggia con il coraggio delle idee in valigia e con l’endorsement di Noah nella tasca della tuta. «Se è Amé, per noi va bene» hanno fatto sapere i giocatori, refrattari alle polemiche sessiste da medioevo che accompagnarono la decisione di Murray di avere un coach femmina. Oggi Amé ringrazia chi aveva creduto in lei: «Senza la scelta di Andy, non sarei mai diventata capitano della Francia».
È da vent’anni che alla ragazza di Saint-Germain-en-Laye, sobborgo a ovest di Parigi, piace stupire. Nel gennaio 1999, a chi le chiedeva il segreto della finale dell’Australian Open raggiunta dal nulla eliminando la numero uno dell’epoca Lindsay Danevport, rispose: «Vinco perché gioco bene. E gioco bene perché ho accettato la mia sessualità e sono innamorata. Di una donna». Aveva 19 anni. In un mondo che non era ancora pronto a spalancare la porta senza giudicare chi l’attraversava, fioccarono i commenti sgradevoli. Uno su tutti, quello di Martina Hingis, l’avversaria che la sconfisse in finale: «Quella tira forte come un uomo!». Dentro un’armatura di ferro che non prevede uso di make up né di tacco, Mauresmo coltiva la sensibilità che sul campo le permetteva di forgiare splendidi rovesci a una mano, sua arma impropria anche oggi.
Ha sempre parlato poco e a tono. Si è mossa per i courts felpata, mai scontata. Due gravidanze a due anni di distanza hanno prodotto Aaron e Ayla, figli di due madri; la passione per i filari un robusto vino rosso che le somiglia, offertoci quest’anno al Roland Garros. Lontano dal tennis, Amé vive benissimo. Ma quando il tennis chiama, Amé risponde. «È tutta la vita che faccio la pioniera, e mi piace. Non chiedetemi come si rompono i tabù, si scavalcano le barriere e si spostano in là i limiti che noi stessi ci imponiamo. So solo che la panchina di Davis è una nuova opportunità, cui non attribuirò più significati di quelli che ha». Julien Benneteau, capitano di Fed Cup, trova la chiosa giusta: «Conta la competenza, non il sesso. E Amelie ne ha da vendere».
Cuore, esperienza e bicipite tornito. Allez.