Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 25 Lunedì calendario

I «miliardi di fiorini» regalati da Orbán all’Italia? Sono spiccioli

Non è un segreto che Matteo Salvini sia un ammiratore di Viktor Orbán. Con trasparenza, il ministro dell’Interno e vicepremier elogia spesso il premier di Budapest e quella che quest’ultimo definisce la sua «democrazia illiberale». Del resto anche quando Salvini parla d’altro non è difficile leggere in trasparenza l’attenzione con la quale deve aver studiato il modello dell’uomo forte magiaro: alcune uscite del leader leghista, da quando è al governo, sembrano pagine copiate da un manuale scritto da Orbán e incollate sul contesto del nostro Paese.
L’uscita salviniana sui Rom italiani che «purtroppo ci dobbiamo tenere» suona come una dichiarazione di Orbán che diventò altrettanto celebre a inizio settembre 2015 per il carattere incendiario: il premier parlava dell’Ungheria che ha «ereditato una capacità di vivere con centinaia di migliaia di Rom» anche se «qualcun altro, da qualche altra parte» ha deciso che quelli vivessero proprio lì. Di sapore vagamente orbaniano è poi anche la dichiarazione di Salvini in Senato dodici giorni fa, quando il ministro annunciò un’iniziativa per fare chiarezza su chi finanzi le associazioni private impegnate sui migranti: il leader ungherese e prima di lui il russo Vladimir Putin sono già passati di là, a caccia di presunti complotti dall’estero. 
Ma se questo è ciò che Salvini pensa di Orbán, resta una domanda: cosa pensa Orbán, se non di Salvini, almeno dell’Italia? Senz’altro è un Paese presente all’attenzione del leader magiaro, perché di recente ne ha parlato a ogni uscita. Di solito lo fa, come martedì scorso a Budapest all’inaugurazione di un memoriale alle vittime dell’occupazione sovietica, per elogiare la rivolta degli italiani ai diktat di Bruxelles. Poi però bisogna guardare anche alle azioni concrete.
In un’uscita alla radio l’8 giugno Orbán ha (cortesemente) declinato la proposta, avanzata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, di una ordinata redistribuzione dei rifugiati in Europa. Poi l’uomo forte di Budapest ha compiuto quello che per lui doveva essere un gesto di buona volontà: ha offerto «miliardi di fiorini» all’Italia a nome di Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia – ovvero i Paesi del Gruppo di Visegrád – per «facilitare i rimpatri» degli stranieri irregolari. Ora, «miliardi di fiorini» ungheresi valgono un pugno di milioni di euro. Da parte di quattro Paesi il cui reddito cumulato è oltre 1.600 miliardi di euro. Per un’operazione che costerebbe circa due miliardi, se solo fosse praticabile.
Forse dopo tutti gli elogi Salvini poteva aspettarsi qualcosa di più, da parte di Orbán, di una derisoria elemosina.