Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 25 Lunedì calendario

“Le pasticche per i capelli perduti inibirono la libido, meglio calvo”. Intervista a Maccio Capatonda

Il paradosso della vita per Marcello Macchia passa sopra la testa, e non sul piano metaforico, bensì oggettivo, pratico. Tricologico. Tanto da diventare nemesi, catarsi, rivincita e infine vittoria: “Ho iniziato a perdere i capelli a 14 anni, uno choc totale, una sofferenza. Poi con gli anni si è tramutata in forza e oggi gioco con le parrucche per creare i personaggi”. Uno di questi è diventato una maschera talmente forte da aver quasi superato la fama di chi lo ha generato, perché Marcello Macchia è Maccio Capatonda. “In molti oramai mi chiamano solo Maccio, e infatti mi fa piacere aver girato la serie come Marcello, nudo da tutte le creazioni. Questa volta sono io”. Così è lui il protagonista di The Generi, otto puntate (su Sky on Demand e Now Tv), dove viaggia dentro altrettanti generi cinematografici (western, horror, commedia sexy…), intrappolato in uno spazio temporale ogni volta cangiante.
Cinema nel cinema. 
E per rendere più forte il contrasto dovevo essere totalmente anti cinematografico: sono io che entro nella pellicola, e vinco anche le mie timidezze.
Timido, lei?
Per la mia prima intervista in diretta televisiva ho bevuto due birre, mi sentivo come se tutto quello che dicevo poteva venir usato contro di me. Un po’ come agli esami.
La soluzione?
Dire la verità, anche più della verità, quello che non hai neanche confessato a te stesso.
Si preoccupa di come appare?
Non molto, ma so per certo che ogni cosa che esprimo può essere vissuta come una cazzata, in pochi conoscono il confine tra il mio esser serio e l’ironia.
Un po’ come Luca Medici, alias Checco Zalone…
Lui ha creato una maschera molto credibile, e molti lo conoscono solo per quella. E ci gioca. Mentre la mia figura seria è proprio difficile da decifrare, anche per me stesso.
Nella commedia sexy, meglio Bouchet o Fenech?
Ammetto, non sono un grande fan di quel genere, sono cresciuto più con i film horror, con Zemeckis e Kubrick. Poi ho scoperto i comici alla Verdone, Troisi e Frassica. Anzi Nino da anni lo coinvolgo in ogni mio lavoro.
Affini nell’umorismo?
Lui è surreale, demenziale, criptico e mi ritrovo tantissimo. In qualche modo sono stato influenzato da lui.
Il suo ruolo al liceo…
Un outsider, per me la scuola è sempre stata una prigione, stavo perennemente all’ultimo banco, studiavo per il grande senso del dovere, ma ero angosciato e senza grandi legami con gli altri compagni.
Uno strano…
Ecco, questo era il mio ruolo, cambiato negli ultimi anni delle superiori, quando gli altri si sono fatti coinvolgere dalle mie passioni, a partire dalla realizzazione dei video di classe.
All’Università…
Ho studiato tecnica pubblicitaria a Perugia, e poi uno stage in una grande società di Milano: guardavo e imparavo, guardavo e piano piano a casa costruivo le mie idee; un giorno al lavoro ho mostrato una delle mie creazioni e da lì è iniziata la mia carriera.
La prima volta che l’hanno riconosciuta per strada?
Quando ti fermano le prime volte, stenti a crederci. E poi sono veramente timido, e questa disparità di afflato tra chi crede di conoscerti, e la tua percezione, crea un divario emotivo che a volte mi imbarazzava. Però non sono così famoso, non sono così pop.
La confondono mai per altri?
Per tutti quelli con la testa pelata: da Saviano a Giuliano dei Negramaro.
Insomma, l’aspetto tricologico è stato un problema.
14 anni è un’età delicata, per questo ho vissuto l’adolescenza con estremi tentativi di rallentare il dramma, con mia mamma cruda nella sentenza di morte: “Hai preso da tuo padre”.
Lotta inutile.
Ho buttato sulla testa qualunque tipo di prodotto, anche acquistato all’estero, frizioni a manetta, la mia testa era talmente piena di olio da sembrare un’insalata; fino a quando a vent’anni mi hanno propinato delle pasticche miracolose, peccato l’effetto collaterale: inibizione della libido.
Addio sesso?
Col cacchio, ho smesso di prenderle: uno si fa ricrescere i capelli per trombare, e invece non hai più voglia?
Meglio calvo.
La prima volta che mi sono tagliato i capelli corti, i miei amici hanno accolto la novità con un secco: “Ecco il taglio scacciafiga”. Comunque l’avere un po’ di successo mi ha salvato, reso più sicuro, e Capatonda è diventato un nome d’arte che richiama qualcosa di vissuto.
Niente a caso.
E inoltre combatto la calvizie con le parrucche dei miei personaggi, la mia testa è un manichino.
Lei cambia tantissimo.
Sono modulabile.
Cangiante.
Infatti mi dicono “mettiti una parrucca, così passi inosservato”, ogni volta rispondo: guarda che sono più riconoscibile con i capelli che senza.
I suoi film horror preferiti?
Le saghe di Nightmare e Venerdì 13, veri cult negli anni Ottanta, poi sto recuperando i classici dei Settanta.
Supereroi…
Batman di Tim Burton.
Sempre pellicole molto cupe.
Il tutto nasce dalla mia infanzia, la paura era l’unica sensazione a smuovermi, tanto che a 12 anni ho visto anche Arancia meccanica. Ritrovavo delle emozioni primordiali come l’odio, la morbosità, la paura.
Senza identificarsi.
Assolutamente, e neanche comprendevo tutta la satira e critica sociale che c’era e c’è dietro.
Perché questa esigenza?
La realtà della mia generazione era spesso piatta, confortevole e comoda, senza particolari problemi; sono stato formato dagli ideali televisivi e cinematografici di quegli anni, dove sembrava fondamentale diventare famosi, guadagnare molti soldi o sognare le ragazze di Non è la rai.
Un suo lato insano?
Forse sono troppo dedito al lavoro (ci riflette e aggiunge), o una grossa tendenza a trombare. Oddio, ma è insano?
A lei la sentenza. 
Volevo più donne possibili, e qui torniamo a Non è la rai: questa ispirazione arriva da quel programma, quando lo guardavo, le mie fantasie galoppavano e tutti i santi giorni; era un po’ come 8 e 1/2 di Fellini. Le volevo tutte.
Senza tregua.
Anni di dedizione, mentre ora mi sono calmato, sono fidanzato.
I suoi western…
C’era una volta il west.
In Italiano medio il suo personaggio dice: “Bisogna mettere le mani nella merda per trovare l’oro”.
Il concetto è uno: è bene lasciarsi andare per scoprire qualcosa che non sai neanche di avere, e riguarda anche me, ed è un po’ anche il senso di tutta la serie.
E rischiare di sbagliare.
Eh, è importante accettare l’idea di poter fallire.
Lo ha messo nel conto?
Sì, resta che ho una grande paura del fallimento, e questo spesso mi trattiene. Non voglio toppare. Invece lo scoglio fa parte di un percorso.
Legge le critiche negative?
Sono quasi sempre d’accordo con chi mi giudica male.
Lei cosa vuole?
Vivere felicemente insoddisfatto.