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 2018  giugno 25 Lunedì calendario

Spiava operai e sindacalisti per la Fiat. L’addio a 99 anni

Il quotidiano livornese Il Tirreno ha dato notizia nei giorni scorsi della morte del generale dell’aeronautica Mario Cellerino, alessandrino di origine, ma residente da tempo a Viareggio. Cellerino, che a novembre avrebbe compiuto cento anni, scrive il giornale di Livorno, “aveva lasciato la divisa subito dopo la Seconda Guerra mondiale nel corso della quale era stato nominato, dopo l’8 settembre, addetto militare dell’Ambasciata italiana a Berlino”. Prima che il conflitto finisse, “fu arrestato e deportato nel campo di concentramento di Buchenwald. A guerra conclusa, Cellerino fu per 18 anni capo del nucleo Sios-Aeronautica a Torino”, cioè il servizio segreto.
Poi, rammenta sempre Il Tirreno, “lasciò l’Aeronautica per passare alla Fiat, braccio destro di Vittorio Valletta”, il potente amministratore delegato, “e destinato alla direzione di quello che all’epoca era nominato Ufficio Servizi generali della celebre casa automobilistica”. L’ex militare, in verità, capeggiava i servizi di sicurezza interni. Proprio per quella mansione venne coinvolto pesantemente nell’inchiesta dell’allora giovane pretore torinese Raffaele Guriniello, nel 1970, sulle schedature illegali delle lavoratrici e dei lavoratori della Fiat, così come di sindacalisti e di militanti della sinistra. Ne furono scoperte oltre 350 mila. Tutto era nato da una causa di lavoro contro la Fiat promossa da Caterino Ceresa, un ex dipendente che, licenziato, aveva rivelato di avere svolto indagini illecite sul personale e su gente da assumere, o che era in relazione, in qualche modo, con le fabbriche degli Agnelli.
Condannato quarant’anni fa, nel febbraio del 1978, in primo grado a Napoli (dove il dibattimento era stato trasferito per motivi di ordine pubblico) a due anni e nove mesi di reclusione, in appello Cellerino la scampò nel 1979, al pari degli altri imputati (i massimi dirigenti del gruppo, in tutto più di 30 processati), per la prescrizione del reato. La Fiat, in quegli anni, non si poteva condannare: era uno Stato privato, se non lo Stato per eccellenza, arroccato nello Stato italiano.
Cellerino non fu il primo, tuttavia, ad avere fatto sorvegliare e schedare gli operai della Fiat. Agli inizi degli Anni 40 del Novecento si distinse, in quelle attività al servizio degli Agnelli, un altro uomo dello spionaggio: il maggiore dei carabinieri Roberto Navale. Già processato con l’accusa di essere stato uno degli organizzatori dell’assassinio dei fratelli antifascisti Carlo e Nello Rosselli – un’accusa da cui sarà assolto per insufficienza di prove nel 1949 – l’ufficiale, che era stato un agente del servizio segreto militare italiano, il Sim, fu assunto nel 1941 nell’azienda torinese da Valletta come capo della sorveglianza di tutti gli stabilimenti del gruppo. E in questa veste, come ricorderanno alcuni operai dopo la Liberazione, aveva denunciato degli operai che criticavano il regine fascista. Uno di loro fu una tuta blu di Mirafiori, che inviò una lettera alla Corte d’Assise Speciale di Roma che giudicava i fascisti.
“Io sottoscritto Macco Felice operaio della Fiat Mirafiori di Torino – scrisse nella missiva – dichiaro d’essere stato denunciato dal maggiore Roberto Navale e il 18 luglio 1943 arrestato dalla Questura di Torino e tradotto alle Carceri Nuove; motivo della denuncia era perché ‘sobillavo gli operai della Fiat’. È a mie mani copia della denuncia redatta dal magg. Navale: essa potrà essere prodotta a richiesta di Vostra Ecc.”.
Navale si rifece una sorta di verginità politica sostenendo, con l’avallo di Valletta e di altri dirigenti, di avere partecipato alla Resistenza. Militò, a quanto pare, in una brigata nell’orbita del servizio segreto americano, l’Oss, e di cui faceva parte anche Walter Navarra, un ex socialista che negli Anni 80 sarebbe ricomparso alla ribalta, e soprattutto nelle cronache giudiziarie, come amico e collaboratore del bancarottiere Michele Sindona.
Cellerino, invece, era entrato in Fiat nel 1965, l’anno in cui Navale, l’uomo processato più volte per il delitto Rosselli, morì a Torino, ricevendo, al funerale, gli onori militari.
Cinque anni dopo, quando Guariniello scoperchiò lo spionaggio Fiat facendo perquisire gli uffici del quartier generale di corso Marconi e di via Giacosa, a Torino, emerse che l’ex generale del Sios-Aeronautica aveva guidato una incredibile rete spionistica negli stabilimenti e non soltanto in quelli.
Al processo di Napoli, come dovette riferire La Stampa, il giornale della Fiat, l’accusa affermò che “Cellerino (e quindi lo staff dirigenziale della Fiat) nell’arco di cinque anni avrebbe discriminato per ragioni politiche ben sessantamila individui. La cifra vien fuori da questo calcolo: per il periodo dal 1967 al 1971, furono compilate 150.000 schede, mentre gli assunti furono 90.000; se ne deduce che 60.000 persone furono escluse per ragioni ideologiche (comunisti o simpatizzanti)”.
Certo è che nel corso del processo di primo grado, come riportò La Stampa, l’azienda torinese cercò di scaricare Cellerino. “In base alla linea di difesa adottata dagli alti dirigenti della Fiat – scrisse il quotidiano – al processo per le ‘schedature’, il capo dei ‘servizi generali’ e incaricato della sicurezza, Mario Cellerino, acquista sempre più il ruolo del personaggio che ha agito in modo autonomo, geloso delle sue prerogative, persino ‘militaresco’ nel comportamento. L’implicita conseguenza, secondo gli imputati, è questa: ammesso che ci sia stato qualcosa di illecito, cioè che si siano pagati pubblici funzionari per avere informazioni riservate, le spiegazioni non devono essere chieste a loro”.
A salvare tutti, in ogni caso, ci pensò la prescrizione del reato.