La Stampa, 25 giugno 2018
Cattivo, sbronzo ma in gamba. “Cantami, o Joseph Roth”
Un celebre disegno di Mies Blomsma datato Parigi 1938 ritrae Joseph Roth con accanto una bottiglia e un bicchiere. In calce, lo scrittore ha lasciato un appunto: «Ecco quel che sono veramente: cattivo, sbronzo, ma in gamba». L’immagine è pubblicata in varie edizioni della Leggenda del santo bevitore, forse il suo libro famoso, certo il più citato. Anni fa, quand’era un ragazzo, Mattia Andreoli la vide sul muro di un’osteria veneta, e non fu amore a prima vista: l’oste gli diede persino qualche libro da leggere, ma non era l’età giusta; li lasciò perdere quasi subito. Ora però che è musicista e cantautore, col nome d’arte di Maler, quell’immagine sfocata dell’adolescenza ha preso forma dopo quattro anni di appassionate letture; è diventata il Progetto Mu, dal nomignolo con cui lo scrittore veniva chiamato in famiglia: un disco, un audiolibro e un e-book.
Nella vita si tendono, va da sé, fili sottili ma sorprendenti, come sapeva Roth e ha scoperto Mattia. Nato in Veneto, vive e lavora a Ostiglia, in Emilia Romagna, il paese dove ha origine la dinastia mondadoriana e soprattutto da dove partiva la via romana diretta al Danubio. È un legame segreto per Maler, artista dalla forte curvatura letteraria. Ha scritto e cantato brani ispirati a Carl Gustav Jung o James Hillman, gli piace intelaiare versi e rime come «la mia vita portoghese / nei suoi occhi di turchese», ha vinto premi per la canzone d’autore – soprattutto riconoscimenti del Club Tenco – e se ne sta orgogliosamente ai margini del mercato con una piccola etichetta indipendente di Bologna. Ora il Danubio si è imposto.
«Nei primi due album ci eravamo rassegnati a una veste un poco pop», racconta. In questo, invece, è rimasto «testardamente rétro e anacronistico» insieme con Giancarlo Di Maria e Thomas Sinigaglia, che lo accompagnano al pianoforte e alla fisarmonica. Ha cantato, va da sé, ma anche molto scritto: una sorta di favola sull’infanzia di Roth e una lunga premessa all’e-book dove mette a fuoco il «suo» scrittore: ovvero il cantore di «un’epoca segnata dalla distruzione». Sulla base dei maggiori critici come Magris e Marino Freschi, ma anche su biografie assai analitiche e non tradotte, si aggira nel labirinto delle «bugie» autobiografiche che hanno propiziato una vulgata romanticamente credulona (come per esempio la guerra di Roth come ufficiale asburgico: fu solo aspirante cadetto), ricostruisce le circostanze, l’adolescenza del piccolo Moses, nome poi abolito dai documenti, nato in Galizia e non nell’Assia, come chissà perché voleva far credere, deluso dalla rivoluzione bolscevica, sostenitore della necessità di una guerra contro la Germania nazista e del ritorno degli Asburgo, grande scrittore e grande giornalista giramondo.
Maler non dimentica che Roth si definì (in uno degli articoli raccolti nel Museo delle cere, Adelphi) un «Hotelbürger», un cittadino degli hotel, e meglio ancora un «Hotelpatriot», e lo canta «in fuga senza fine e senza resa», «nomade su una via d’indietro». Uno dei pezzi più struggenti ne narra la morte, povero, a Berlino, con tanto di prete e rabbino al funerale, e lo stuolo di donne che lo avevano amato. Ci sono brani particolarmente felici costruiti sui singoli romanzi (tutti disponibili per Adelphi), come quello dedicato a Ribellione dove è in scena il reduce Andreas Pum («Quanto era bello il reduce / con l’organetto e l’asino / zucchero sopra il panico / un souvenir dal baratro») o al piccolo Menuchim, il bambino disgraziato in Giobbe («Menuchim, Menuchim, è un miracolo che tu sia qui»), ma anche materiale che proviene dalla corrispondenza (pubblicata da Castelvecchi col titolo L’amicizia è la vera patria) con Stefan Zweig, l’altro grande della finis Austriae, Roth aveva visto la fine del suo mondo con una lucidità forse alcolica, e l’aveva raccontata mentre accadeva, anzi un poco prima che accadesse. Non stupisce che Maler ne sia stato stregato. Ora sta portando il disco, l’audiolibro, l’e-book dalle bacheche on-line ai concerti in cerca di quella che definisce «una piccola nicchia da intercettare ancora», visto che «le radio hanno ormai abdicato alla loro funzione di promuovere la musica indipendente». Lo spinge, dice citando Bruno Schultz (l’autore ceco della Botteghe color cannella), «la causa persa della poesia». E a ogni buon conto ricorda un episodio di qualche anno fa, quando l’ottuagenario regista Franco Piavoli gli diede qualche immagine per un video. «Gli dissi che non avevo la possibilità di pagare. Mi rispose: Non hai ancora capito che queste cose le facciamo per amore?».