Il Sole 24 Ore, 25 giugno 2018
La cultura e la creatività muovono 92 miliardi con 1,5 milioni di addetti
È impalpabile ma muove risorse e capitali. È legata ai territori ma è visionaria. È il passato ma ha lo sguardo puntato verso il futuro. È made in Italy per eccellenza ma di quanto si crea e nasce in Italia è il segmento produttivo con la vocazione internazionale più marcata. È il “Sistema Produttivo Culturale e Creativo” che nel 2017 ha generato il 6% della ricchezza prodotta in Italia, ovvero oltre 92 miliardi di euro. E soprattutto ha dato lavoro grazie all’impiego di 1,5 milioni di persone, numero che equivale al 6,1% del totale degli occupati. In crescita sia in termini di valore aggiunto (+2%) e di occupati (+1,6%).
Un motore importante soprattutto perché oltre agli effetti diretti innesta un circuito virtuoso con importanti ricadute sugli altri settori. Cultura e creatività hanno un effetto moltiplicatore sul resto dell’economia: l’intera filiera produce 255,5 miliardi (16,6% del valore aggiunto nazionale), col turismo come primo beneficiario.
È possibile infatti stimare l’apporto della componente culturale alla spesa turistica: 30,9 miliardi, nel 2017, pari al 38,1% della spesa turistica complessiva, un valore in crescita di altri due decimi di punto rispetto a quanto stimato per il 2016 (37,9 per cento). A tracciare questa mappa, il Rapporto “Io sono Cultura” (ottava edizione) sintesi di un progetto di ricerca tra Unioncamere e Fondazione Symbola, che analizza il ruolo delle filiere culturali e creative nell’economia italiana. Rapporto di cui si parlerà al Festival della Soft Economy in programma a Treia in provincia di Macerata dal 3 al 5 luglio, che sarà concluso il 6 e il 7 dal seminario estivo dal titolo “Coesione è competizione – Sfidare paure, solitudini e disuguaglianze per costruire il futuro”. Nel dettaglio, cosa analizza lo studio? Vengono considerate nell’insieme di attività produttive che sono, in parte, riconducibili ai settori della produzione culturale e creativa (Core) e, in parte, «ad attività che, pur non facendo parte della filiera, impiegano contenuti e competenze culturali per accrescere il valore dei propri prodotti (Creative Driven)». Più nello specifico, le industrie culturali producono 33,6 miliardi di euro di valore aggiunto (il 2,2% del complessivo nazionale), ed occupano 488 mila addetti (l’1,9% degli addetti totali). A seguire, «troviamo le performance delle industrie creative, in grado di generare 13,4 miliardi di valore aggiunto e quasi 261 mila posti di lavoro; se rapportati al totale nazionale, questi valori hanno un’incidenza pari, rispettivamente, allo 0,9% e all’1,0%. Rilevante anche il ruolo delle performing arts, capaci di produrre quasi 7,9 miliardi di euro di ricchezza, impiegando poco meno di 141 mila addetti; le attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale (2,8 miliardi di euro di valore aggiunto e 51 mila posti di lavoro), infine, pur mostrando un contributo limitato alla produzione di ricchezza ed occupazione, rappresentano comunque una importante funzione di rinnovamento dei contenuti culturali, agendo come infrastruttura per gli altri settori della filiera e svolgendo un ruolo centrale nell’attrazione dei flussi turistici».
Le Creative Driven,generano «una ricchezza pari a circa 34,5 miliardi di euro (il 2,2% del complessivo nazionale) e assorbono più di 579 mila addetti (il 2,3% del totale nazionale)». Naturalmente i risultati non sono uniformi su tutto il territorio italiano. Trainanti sono la Lombardia (24 miliardi di euro di valore aggiunto e 350 mila addetti) e il Lazio (14,9 miliardi di euro e 204 mila addetti), a loro volta “trainate” dai due grandi hub culturali localizzati nelle aree metropolitane di Milano e Roma. Seguono «la Valle d’Aosta (6,9% sul valore aggiunto e 7,2% sull’occupazione), il Piemonte (6,9% e 6,8%) e le Marche (6,1% e 6,5%), In particolare queste sono le uniche regioni che sperimentano un peso “culturale e creativo” sul totale dell’economia superiore alla media nazionale per entrambe le grandezze». Nota dolente, ed anche elemento su cui avviare una analisi il dato relativo alla regioni meridionali, in questo caso infatti l’incidenza delle attività culturali sul valore aggiunto e sull’occupazione non supera mai il 4,6 per cento.