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 2018  giugno 25 Lunedì calendario

Vivinetto, la poetessa trans

«Non mi sono mai conosciuta /se non nel dolore bambino/ di avvertirmi a un tratto così divisa. Così tanto parziale». Sulla copertina due profili uno maschile l’altro femminile- si fronteggiano, due corpi, a specchio, si rifiutano riconoscendosi. Dolore minimo racconta in versi la complessa condizione transessuale infrangendo il muro di un silenzioso tabù culturale. Quella di Giovanna Cristina Vivinetto è la storia di una metamorfosi, la sua, di donna nel corpo di un uomo, vissuta con un distacco dall’io davvero essenziale, senza pietismo o esibizione della diversità, eludendo la forma più facilmente diaristica che poteva essere un vettore espressivo, il mood di un’esperienza cosi dolorosa e necessaria. Perdita e scoperta, morte e rinascita, la fatica di sentirsi divisi e la necessità di diventare madre di se stessi mettendo al mondo da soli una nuova persona. Come una mutazione dell’identità che ha portato a una nuova nascita, scrive Dacia Maraini. 
LA SCISSIONE La sua di oggi e quella dell’infanzia, la sua di figlia/figlio e quella di una madre presente-assente. Sofferenza di chi non si riconosce nel proprio corpo; dolore, tutt’altro che minimo, per la scissione/divisione tra corpo e anima; esperienza da raccontare anche a chi non capisce o teme o giudica. 
«Ci vollero diciannove anni / per prepararsi alla rinascita, / per trasformare la distanza tra noi / in spazio vitale, il vuoto in pieno, / il dolore in malinconia che altro / non è che amore imperfetto. Aspettammo / i nostri corpi come si aspetta / la primavera: chiusi nell’ansia / della corteccia. Capimmo così / che se la prima nascita era tutta / casualità, biologia, incertezza l’altra, / questa, fu attesa, fu penitenza: / fu esporsi al mondo per abolirlo, / pazientemente riabilitarlo». 
PROCESSO TERAPEUTICO Per Vivinetto, ventiquattrenne di Siracusa che vive a Roma, si è laureata in lettere e studia filologia moderna all’università, il suo è stato un processo terapeutico perché, attraverso la scrittura, «mi sono conosciuta meglio, facendo luce sulle zone d’ombra della mia vita che ancora non avevo rischiarato». Un «attraversamento esistenziale» (dice bene Alessandro Fo nella postfazione) che di raro si sperimenta e altrettanto di raro si registra in poesia. Vissuto con una maturità artistica «davvero impressionante» per aver percorso ben due esistenze e ciò che più conta la dirompente crisi del transito dall’una all’altra, dalla morte di un sé che non poteva essere, alla nascita di un sé che lotta per realizzarsi nella pienezza, in un viaggio impervio «fatto di risistemazione di tutti i rapporti, di riscrittura di nomi, documenti, connotati e anatomia». «Aspettavi da anni come si attende/ la salute ai piedi di un malato/, come chi ha perso qualcuno/smaltisce il male sulle scale/di casa. / Quegli occhi erano/una preghiera, un inno muto /alla rinascita».