La Stampa, 24 giugno 2018
Bekim Fehmiu, l’Ulisse degli italiani somigliava a Achille
Cinquant’anni fa l’Odissea televisiva: lo strano destino di Bekim Fehmiu, l’Ulisse che somigliava ad Achille
Indimenticabili quelle sere di primavera del 1968: quando Bekim Fehmiu, protagonista dell’Odissea di Franco Rossi, entrava nelle case degli italiani bucando il teleschermo. Bello, forte, spavaldo, pronto a sfidare gli dei e le tempeste pur di tornare nella sua Itaca. Ci volle una coproduzione internazionale per portare Omero in prima serata. Ma il risultato fu straordinario, grazie a un’alchimia perfetta di regia, sceneggiatura e recitazione: con milioni di telespettatori in tutto il mondo, e un risorgimento dell’epica omerica sia in famiglia che a scuola. La memoria riporta a un maestro che chiedeva ai suoi ragazzi di disegnare Ulisse tra i marosi o nell’antro di Polifemo; e che ogni settimana, siccome era un bravo maestro, faceva loro imparare a memoria alcuni versi: «Musa, quell’uom di multiforme ingegno, dimmi, che molto errò...». Nell’Odissea televisiva era Giuseppe Ungaretti a declamarli. La voce di ferro, gli occhi di cera, la fronte solcata da rughe... Poteva sembrare Omero in persona, il vate greco resuscitato. Invece Bekim Fehmiu era giovane e forte. E, soprattutto, sembrava immortale.
La morte a Belgrado
Dopo l’exploit televisivo, il pubblico italiano lo perse di vista. E così la notizia della sua morte, il 15 giugno del 2010, non fece neanche scalpore. Lo avevano trovato nella casa di Belgrado, in una pozza di sangue e con l’arma a fianco. E fu a quel punto che iniziò a svelarsi la storia dell’uomo. Bekim Fehmiu era jugoslavo, anzi kosovaro. Nato a Sarajevo nel 1936, cresciuto a Prizren, diplomato all’accademia di Belgrado. Nel 1967 il primo film importante, premiato a Cannes. Poi altri successi, al cinema e a teatro, e riflettori puntati addosso per un ventennio al fianco di Irene Papas, Ava Gardner e Claudia Cardinale.
Una sera del 1987, per protesta contro il governo jugoslavo che discriminava i kosovari, Bekim decise di interrompere il suo spettacolo teatrale. Negli ultimi tempi a Belgrado era difficile essere kosovaro, e di lì a qualche anno se ne sarebbe accorto il mondo intero. Ai vertici del partito socialista era arrivato un certo Slobodan Milošević, di cui a quel tempo nessuno aveva ancora sentito parlare...
Dopo il clamore suscitato dal gesto, la vita di Bekim Fehmiu non fu più la stessa. Smise con il teatro, poi con il cinema, infine smise di parlare chiudendosi in se stesso per anni, fino all’epilogo del 15 giugno 2010. Prima di farla finita aveva scritto alla moglie e ai figli, chiedendo che le sue ceneri fossero sparse in Kosovo, nel fiume dell’infanzia. Le urne con le ceneri dei sovrani di Itaca erano custodite nella tomba regale. È ancora visibile tra le rovine di quello che forse è il palazzo di Ulisse, nella parte settentrionale dell’isola. La cavità sepolcrale sembra una cisterna, sul fondo ristagna acqua. Tutt’intorno sassi neri striati di bianco.Luogo magico la Scuola di Omero. Da dove si va alla scoperta della parte settentrionale dell’isola come se si entrasse in un altro tempo. Si può raggiungere la fontana del palazzo, scendere per il sentiero che porta all’approdo di Telemaco, immaginare il frutteto dove Laerte insegnò al piccolo Ulisse il nome delle piante e dei fiori. Se solo Bekim Fehmiu fosse stato Ulisse anche nella vita vera, invece di mollar tutto e darla vinta a Milošević, avrebbe escogitato un piano astutissimo come con Polifemo. La metis, virtù-simbolo dell’Odissea, gli avrebbe permesso di capire, di adattarsi alla situazione, di evitare gli ostacoli lungo il cammino e sfruttare al meglio le circostanze avverse.
La furia sacra
Ma lui non somigliava a Ulisse, lui era come Achille. Rettilineo, inflessibile, incapace di virare anche di un grado. Agli antipodi della metis di Ulisse sta la menis di Achille, la «furia sacra» che avvolge tutta l’Iliade. E forse fu proprio un’ira omerica «senza rimedio» a costringere Bekim Fehmiu a uscire di scena prima del tempo. Dal punto più alto di Itaca, ridotta estrema della civiltà occidentale, il mondo è ancora un susseguirsi di avventure prodigiose, creature fantastiche, isole sconosciute ed emozioni senza fine. Proprio come poteva immaginarselo un ragazzo in quelle sere indimenticabili del 1968, mentre la Rai mandava in onda il suo sceneggiato più bello.