La Stampa, 24 giugno 2018
«I nazional-populisti hanno isolato l’Italia e l’Ue può implodere». Intervista a Minniti
Per Marco Minniti, personaggio poco incline alle sparate, stavolta il rischio è serio, con l’Italia e l’Europa unite in un insolito destino: «Da un anno era in corso un dialogo tra Unione europea e Africa, gli arrivi in Italia erano drasticamente diminuiti, ma nel giro di 15 giorni si è ribaltato tutto: il nazional-populismo, lo chiamerei così, ha riportato il conflitto dentro l’Europa. Un tutti contro tutti nel quale l’Italia si ritrova isolata e l’Unione rischia l’implosione. L’anno che ci ha preceduto diceva una cosa sola: l’Italia, proprio perché Paese più esposto, è quello più interessato alle alleanze».
Esattamente un anno fa il suo governo fronteggiò una vera emergenza. Un precedente che dice qualcosa?
«Lo ricordo bene: era fine giugno del 2017 e nel giro di 36 ore ci furono tredicimila arrivi sulle nostre coste. Su ventisei navi. L’Italia fece la propria parte: non chiudemmo i porti, chiedemmo alle Ong di assumersi la responsabilità di tenere assieme i principii di umanità e di sicurezza, facemmo un Codice di condotta e l’Ue lo fece proprio. Grazie anche agli accordi con la Libia, tutto questo ha consentito alle Ong di continuare ad operare e in un anno gli arrivi si sono ridotti. Il 31 maggio, ultimo giorno della nostra gestione, gli arrivi erano diminuiti di 122mila unità, l’ 80 per cento in meno nel complesso e l’85 per cento in meno dalla Libia. Se avessimo scaricato tutte le colpe sull’Europa, avremmo avuto 122mila arrivi in più e nessun controllo sui flussi».
Matteo Salvini ha cambiato completamente politica: è rimasto sorpreso?
«No. Avendo fatto del tema dei migranti la questione numero uno della campagna elettorale, per loro era difficile dire: “dobbiamo rafforzare quel che è stato già fatto”. Il problema è un altro: non si possono affrontare questioni come queste con un atteggiamento da campagna elettorale permanente. Neanche Trump l’ha retto. E stiamo parlando del presidente degli Stati Uniti, la prima potenza politica ed economica del mondo».
Sul breve la politica delle spallate e dei gesti simbolici pare funzionare: potrebbe funzionare anche alla lunga?
«Se pensi che bastino gli atti simbolici, il rischio è doppio. Che quegli atti non risolvano il problema e che prima o poi si rovescino nel loro opposto. Noi parlavamo molto poco, facevamo parlare i fatti».
La sorpresa è che, al di là dell’efficacia, questo approccio politico piace, moltiplica le intenzioni di voto con fiammate senza precedenti…
«I sentimenti dell’opinione pubblica e gli atteggiamenti dei leader che li assecondano, sono fenomeni da studiare con attenzione. Nel 1997, ai tempi governava Prodi, dall’Adriatico stava arrivando un flusso consistente di emigrazione e Berlusconi, leader dell’opposizione, ripeteva: bisogna colpire duramente i trafficanti. Una nave della Marina militare, la Sibilla, si affiancò ad una delle barche in arrivo, intimandogli l’alt. Si creò un’onda, la barca si capovolse, morirono alcuni migranti. L’indomani arrivò Berlusconi e pianse davanti alle bare. È chiaro quel che può accadere? Tu devi tenere conto dei sentimenti, ma poi devi costruirci sopra una politica».
Salvini, oltre a cavalcare la paura, potrebbe anche svegliato un diffuso sentimento di aggressività?
«È vero, i sondaggi si gonfiano, ma se ci costruisci sopra tante aspettative e su basi fragili, finisci per alzare così tanto l’asticella che il margine di rischio diventa sempre più alto. Siamo davanti anche ad un meccanismo comunicativo. che prova a concentrare attenzione su questioni prevalentemente ideologiche. È passato quasi mese e non si è ancora riunito un Consiglio dei ministri per assumere una decisione operativa».
L’immigrazione fa consenso in casa ma rischia di aprire una crisi bruciante in Europa?
«Il nazional-populista, per sua natura, non può affrontare questioni complesse. Per loro ogni confine si contrappone ad un altro confine. E il confine cancella anche le affinità ideologiche tra movimenti di Paesi diversi. In più loro erano convinti che l’immigrazione fosse un tema da cavalcare e sul quale l’Europa avrebbe retto, rispetto alle questioni finanziarie. L’idea era: tranquillizziamo sull’euro, che è il vero ordigno di fine mondo. E invece tutto è cambiato ed è l’emigrazione ad esser diventata in poche settimane una bomba atomica per tutta l’Europa».